giovedì 15 settembre 2011

Pianificazione e territorio

La Nazione, 4 settembre 2011

Sulla necessità di ridurre al minimo lo scellerato consumo di suolo, in particolare quello agricolo, a parole siamo ormai quasi tutti d’accordo. Non solo quindi gli “ambientalisti”, ma ogni persona di sano buonsenso, che abbia a cuore la terra, il paesaggio, la salute, l’agricoltura ed il turismo. Nessun politico intelligente e anche nessun illuminato imprenditore  può pensare che sia proficuo costruire insediamenti artigianali non produttivi, zone industriali ipotetiche, nuovi porticcioli inutilizzati, aree residenziali mastodontiche e sovradimensionate - con la popolazione come ben si sa a crescita zero - senza consultare le più recenti indagini di mercato che spiegano le “tendenze” di oggi: dove va il turismo, cosa si chiede al commercio, quali le modalit‡ e le tipologie di produzione, le richieste del mercato immobiliare, il destino della nautica.
Oggi il paesaggio, la campagna, il territorio nel suo complesso (anche quello “privato”) devono essere percepiti e definiti come “beni comuni”, luoghi di cui tutti beneficiamo, appagano i nostri sensi, producono benessere sociale, sono un diritto per le generazioni future alle quali dovremmo lasciare la speranza di trovare in futuro un posto di lavoro, soprattutto nei settori del turismo, dell’agricoltura e dei servizi ad essi connessi.
Dalle colline e dai borghi del Magra tutti sostanzialmente vorremmo vedere "paesaggi", non solo case e capannoni industriali.
Ed è ormai dimostrato che  l’Italia è il maggior consumatore di suolo vergine (e di cemento) d’Europa; b) tale consumo minaccia drammaticamente la nostra cultura (quella dei luoghi, delle opere d’arte e dell’archeologia), l’agricoltura ed il turismo.
Cosa chiediamo alle nostre amministrazioni che annaspano da anni nella crisi e si illudono che gli oneri di urbanizzazione siano sufficienti a scongiurare la bancarotta dei comuni? Che si ravvedano poiché in realtà si tratta solo di piccoli salvagente, galleggianti, ma temporanei e del tutto illusori col mare in tempesta.
Ci pare invece assai importante affrontare la questione insieme tecnica e politica dei piani regolatori. Pensiamo al Puc di Sarzana, da tempo scaduto, e non si sa per quale motivo, tenuto in vita a colpi di varianti ( o forse proprio per questo tenuto in vita) Ameglia e Castelnuovo: ne enumeriamo tre anche perché ognuno di essi strategico e collegato agli altri.
A Sarzana il P.R.G. scaduto ormai da tre anni non necessita soltanto di un naturale adeguamento tecnico e giuridico, ma culturale e di programmazione economica realistica. Esiste la necessità di pensare quale sia il futuro dell’urbanistica e quindi del vivere della intera nostra vallata, e per farlo c'è bisogno di una normale quanto attenta "pianificazione", discussa e partecipata, non delle solite furberie che lasciano spazi aperti per inserire progetti, permessi, licenze dell’ultim’ora.
Ma soprattutto, con il metodo delle varianti si cancella e compromette il ruolo della vera pianificazione urbanistica che mira ad un utilizzo migliorativo del territorio, non omologando le diverse aree (verdi, dismesse, residenziali, artigianali) per far posto a quelle commerciali: negando così i diritti di tutti a veder coniugato ambiente e lavoro, infrastrutture e partecipazione, viabilità e salute, zonizzazioni acustiche e benessere.
Gli ultimi grandi colpi di coda nati più dalle esigenze dei privati che dalla programmazione sensata delle amministrazioni (Botta, Tavolara, Bozi, Romito, Olmo, Marinella, Ameglia, con annesse infrastrutture) non sono più, e da tempo, in linea con gli orientamenti restrittivi dell’urbanistica regionale, hanno visto e vedranno ancora le associazioni sul piede di guerra. Ci auguriamo che le giunte locali diano un segno di vita socialmente, culturalmente, politicamente illuminata, adeguandosi ad una visione del territorio come “bene comune” per la difesa del paesaggio, come valore di storia, di memoria, di vera economia e anche come un diritto di futuro da non alienare dalle future generazioni.

Roberto Mazza

portavoce Movimento Stop al Consumo di Territorio

L'agricoltura al tempo della crisi è "verde": boom del biologico

Il cambiamento: dal virtuale al reale, 8 settembre 2011

"Mentre l'alimentare tradizionale arranca, il biologico continua la sua corsa anche nel primo semestre del 2011 (+13%), conquistando sempre piu' spazio nella Gdo. La conseguenza è una ristrutturazione nel sistema agricolo: in un anno diminuiscono i bioagricoltori, ma cresce la dimensione media aziendale. In piu' molti produttori diventano anche trasformatori e 'venditori'". Lo afferma, in una nota, la Cia-Confederazione italiana agricoltori alla vigilia del "Sana", il 23° Salone internazionale del naturale che si terra' a Bologna dall'8 settembre. "La crisi- aggiunge- non intacca l'appeal del biologico, che guadagna ancora spazio nel carrello degli italiani.

A dispetto della crisi dei consumi alimentari convenzionali, il segmento 'bio' continua a correre, mettendo a segno nel primo semestre del 2011 un aumento del 13%. Un dato - precisa la Cia - che conferma e rafforza il risultato record gia' toccato nel 2010, quando il 'bio' ha brindato al più 11,6%".

Per la confederazione "è chiaro, dunque, il definitivo passaggio del biologico da moda passeggera o 'di nicchia' a vera e propria abitudine di spesa, come evidenzia la presenza massiccia dei prodotti biologici nelle catene della Gdo. Solo tra gennaio e aprile, infatti -osservano la Cia e la sua associazione per il biologico Anabio - gli acquisti 'bio' crescono del 14,6% nei supermercati, dell'11,8% negli ipermercati e addirittura del 16,1% nei discount (+16,1%). Rubando quote di mercato alle botteghe di quartiere e ai negozi tradizionali, che invece perdono il 46,9% rispetto allo stesso periodo del 2010".

Secondo la Cia, a trainare la spesa 'bio' in questa prima metà dell'anno "sono sempre pasta e riso (+32,9%); latte e formaggi (+20,4%), in particolare mozzarelle (+82,7%); biscotti e dolciumi (+15,4%) ma senza il pane (-11,3%); uova (+13,4%)".
E anche il mondo produttivo "si adegua al 'boom' del biologico. Nel 2010 - fa sapere la Cia - il numero dei bioagricoltori diminuisce sì del 3,3% rispetto al 2009 (41.807 unità contro le 43.230 dell'anno precedente), ma contemporaneamente cresce sia la superficie totale dedicata (1.113.742 ettari rispetto ai 1.106.684 del 2009) sia la superficie media aziendale, che raggiunge i 26,6 ettari per azienda (+3,9% sul 2009) mentre la media nel convenzionale resta a 7,9 ettari".
Questo vuol dire che nell'ultimo anno c'è stata una sorta di "scrematura naturale - spiegano Cia e Anabio - che ha coinvolto prevalentemente le imprese di piccolissime dimensioni e le aziende meno strutturate, con una conseguente ristrutturazione del sistema in direzione di un superamento del fenomeno della polverizzazione".
Sempre nel 2010, "sono aumentati del 22% annuo i produttori agricoli che effettuano anche attivita' di trasformazione e vendita diretta - conclude la Cia - prediligendo il mercato breve e il rapporto diretto con i consumatori".