mercoledì 1 febbraio 2012

2032, l’Italia invasa dal cemento “Scompariranno 75 ettari al giorno”

di Carlo Brambilla
La Repubblica, 1 febbraio 2012

Un pericoloso «incendio grigio» sta bruciando il paesaggio italiano. Niente a che vedere con le fiamme dei veri roghi. Il territorio del Bel Paese rischia di venire definitivamente incenerito da un’immensa colata di cemento che lo sta sommergendo giorno dopo giorno. A lanciare l’allarme, con un nuovo drammatico dossier, presentato ieri, “Terra rubata. Viaggio nell’Italia che scompare”, sono due grandi associazioni ambientaliste, il Fai, Fondo per l’ambiente italianoe il Wwf. Non solo una valanga di dati allarmanti, evidenziati dalla ricerca, promossa dall’Università degli Studi dell’Aquila, in collaborazione con la Bocconi di Milano, ma un appello pressante a l G o v e r n o Monti perché l ‘ e m e r g e n z a economica non lo distolga dall’intervenire attivamente in un’altra emergenza non meno grave: la salvaguardia del territorio. «Un consumo di suolo che nella sola pianura padana divora ogni giorno molti ettari di campagne fertili che sono assorbiti per sempre dal cemento - denuncia Fulco Pratesi, presidente del Wwf. - Un danno ancora più grande della distruzione fisica, perché i terreni vicini non vengono più coltivati nella speranza che un domani diventino edificabili». L’indagine condotta su 11 regioni italiane, corrispondenti al 44% della superficie totale, sottolinea come l’area urbana in Italia, negli ultimi 50 anni, si sia moltiplicata di 3,5 volte, aumentando dagli anni Cinquanta ai primi del Duemila, di quasi 600 mila ettari, oltre 33 ettari al giorno. Un ritmo che si sta spaventosamente incrementando. «Le lobby del cemento e del mattone fagociteranno per sempre, nei prossimi 20 anni, al ritmo di 75 ettari al giorno, tesori naturalisticie paesaggistici, terreni agricoli e spazi di aggregazione sociale, che non saranno più restituiti alla collettività - denunciano gli ambientalisti. - E la superficie occupata dalle aree urbane crescerà di circa 600 mila ettari».

Città che crescono anche quando gli abitanti diminuiscono. Un consumo irreversibile del suolo che ha nell’abusivismo edilizio la sua causa più insidiosa. Secondo i dati ufficiali riportati nel dossier dal 1948 a oggi si sono registrati in Italia 4,6 milioni di abusi edilizi: 75 mila all’anno, 207 al giorno. Nello stesso periodo sono stati costruiti 450 mila edifici abusivi per un totale di un milione e 700 mila alloggi abusivi abitati da circa 6 milioni di abitanti. Interessi economici favoriti da un’assenza di pianificazione urbanistica. E da varianti e deroghe concesse ad hoc da amministratori complici.

Non solo lamenti. Per contrastare i «ladri di territorio» e arrestare il consumo di suolo Fai e Wwf suggeriscono una precisa Road Map con 11 linee di intervento. Da piani urbanistici che pongano rigidi limiti al nuovo edificato, alla lotta severa all’abusivismo. In particolare si chiede che venga aumentato il grado di tutela delle coste introducendo un’estensione generalizzata dei 300 metri di salvaguardia dalla linea di battigia sino ad almeno mille metri, come aveva previsto in Sardegna il piano paesistico della giunta Soru. Si chiede inoltre che vengano introdotti meccanismi fiscali che prevedano da un lato un più severo regime di tassazione sull’utilizzo di nuove risorse territoriali e dall’altro individuino agevolazioni sul riuso virtuoso di territorio.

domenica 29 gennaio 2012

L'utopia frugale

Marino Niola intervista Serge Latouche – La Repubblica 14.01.2012

«Un certo modello di società dei consumi è finito. Ormai l'unica via all'abbondanza è la frugalità, perché permette di soddisfare tutti i bisogni senza creare povertà e infelicità». E’ la tesi provocatoria di Serge Latouche, professore emerito di scienze economiche all'Università di Paris Sud, universalmente noto come il profeta della decrescita felice. Il paladino del nuovo pensiero critico che non fa sconti né a destra né a sinistra sarà a Napoli dal 16 al 20 gennaio, ospite della Fics (Federazione Internazionale Città Sociale) e protagonista del convegno internazionale "Pensare diversa-mente. Per un'ecologia della civiltà planetaria" organizzato dal Polo delle Scienze Umane dell'Università Federico II. Il tour italiano dell'economista eretico coincide con l'uscita del suo nuovo libro Per un'abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita (Bollati Boringhieri). Un'accesa requisitoria contro l'illusione dello sviluppo infinito. Contro la catastrofe prodotta dalla bulimia consumistica.

Cos'è l'abbondanza frugale? Detta così sembra un ossimoro.
«Parlo di "abbondanza" nel senso attribuito alla parola dal grande antropologo americano Marshall Sahlins nel suo libro Economia dell'età della pietra. Sahlins dimostra che l'unica società dell'abbondanza della storia umana è stata quella del paleolitico, perché allora gli uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare tutte le loro necessità con solo due o tre ore di attività al giorno. Il resto del tempo era dedicato al gioco, alla festa, allo stare insieme».

Vuol dire che non è il consumo a fare l'abbondanza?
«In realtà proprio perché è una società dei consumi la nostra non può essere una società di abbondanza. Per consumare si deve creare un'insoddisfazione permanente. E la pubblicità serve proprio a renderci scontenti di ciò che abbiamo per farci desiderare ciò che non abbiamo. La sua missione è farci sentire perennemente frustrati. I grandi pubblicitari amano ripetere che una società felice non consuma. Io credo ci possano essere modelli diversi. Ad esempio io non sono per l'austerità ma per la solidarietà, questo è il mio concetto chiave. Che prevede anche controllo dei mercati e crescita del benessere».

Perché definisce Joseph Stiglitz un'anima bella?
«Stiglitz è rimasto alla concezione keynesiana che andava bene negli anni '30, ma che oggi, anche a causa dello sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, mi sembra impraticabile. Nel dopoguerra l'Occidente ha conosciuto un aumento del benessere senza precedenti, basato soprattutto sul petrolio a buon mercato. Ma già negli anni '70 la crescita era ormai fittizia. Certo il Pil aumentava, ma grazie alla speculazione immobiliare e a quella finanziaria. Un'età dell'oro che non ritornerà».

E’ il caso anche dell'Italia?
«Certo, il boom economico italiano del dopoguerra si deve soprattutto a personaggi come Enrico Mattei che riuscì a dare al vostro paese il petrolio che non aveva. E’ stato un vero miracolo. E i miracoli non si ripetono».

I sacrifici che i governi europei, compreso quello italiano, stanno chiedendo ai cittadini serviranno a qualcosa?
«Purtroppo i governi spesso sono incapaci di uscire dal vecchio software economico. E allora tentano a tutti i costi di prolungarne l'agonia, ma questo, lo sanno bene, non fa altro che creare deflazione e recessione, aggravando la situazione fino al momento in cui esploderà».

Lei definisce- la società occidentale la più eteronoma della storia umana. Eppure comunemente si pensa che sia quella che garantisce il massimo di autonomia democratica. Chi decide per noi?
«Di fatto siamo tutti sottomessi alla mano invisibile del mercato. L'esempio della Grecia è emblematico: il popolo non ha il diritto di decidere il suo destino perché è il mercato finanziario a scegliere per lui. Più che autonoma, la nostra è una società individualista ed egoista, che non crea soggetti liberi ma consumatori coatti».

Qual è il ruolo del dono e della convivialità nella società della de-crescita?
«L'alternativa al paradigma della società dei consumi, basata sulla crescita illimitata, è una società conviviale, che non sia più sottomessa alla sola legge del mercato. Che distrugge alla radice il sentimento del legame sociale che è alla base di ogni società. Come ha dimostrato l'antropologo Marcel Mauss, all'origine della vita in comune c'è lo spirito del dono, la trilogia inscindibile del dare, ricevere, ricambiare. Dobbiamo dunque ricomporre i frammenti postmoderni della socialità usando come collante la gratuità, l'antiutilitarismo. In questo concordo con gli esponenti italiani dell'economia della felicità, come Luigino Bruni e Stefano Zamagni, che si rifanno alla grande lezione dell’economia civile napoletana del Settecento di Antonio Genovesi».

Il capitalismo è l'ultimo pugile rimasto in piedi sul ring della storia?
«Non so se sia proprio l'ultimo pugile, perché non si sa mai in cosa è capace di trasformarsi, ci sono scenari ancora peggiori, come l'eco-fascismo dei neoconservatori americani. Certo è che siamo ad una svolta della storia. Se un tempo si diceva "o socialismo o barbarie" oggi direi "o barbarie o decrescita". Serve un progetto eco-socialista. E’ tempo che gli uomini di buona volontà si facciano obiettori di crescita».

Francis Fukuyama di recente ha riaffermato di ritenere che il modello liberal-capitalistico resti l'orizzonte unico della storia. Senza alternative. Cosa ne pensa?
«Che ha una bella faccia tosta. Prima si è sbagliato totalmente sulla fine della storia, e oggi ripropone la stessa solfa. La sua profezia è stata vanificata dalla tragedia dell'11 settembre che ha dimostrato che la storia non era per niente finita. Fukuyama chiama fine della storia quella che è semplicemente la fine del modello liberal capitalista».

A chi dice che l'abbondanza frugale è un'utopia lei risponde che è un'utopia concreta. Non è una contraddizione in termini?
«No, perché per me l'utopia concreta non significa qualcosa di irrealizzabile, ma è il sogno di una realtà possibile. Di un nuovo contratto sociale. Abbondanza frugale in una società solidale. Sta a noi volerlo».

Quel contadino che può salvare le nostre terre

di Carlo Petrini


in “la Repubblica” del 7 gennaio 2012

Il “Manifesto per la Terra e per l'Uomo” di Pierre Rabhi risale al 2008 e adesso è uscito in Italia.
Soprattutto in Francia e in Africa, Rabhi è una delle figure più carismatiche per i movimenti ecologisti, dell'agricoltura biologica e biodinamica. Forse è un po' meno conosciuto da noi, al di là delle sempre attente reti ambientaliste, anche perché le sue pubblicazioni in Italia sono piuttosto rare. Ciò non toglie che sia una figura straordinaria, e che questa traduzione che esce per i tipi di Add Editore (pagg.169, euro 15) ci consenta di avvicinarci più agilmente alla sua visione del mondo e della vita. Prima di parlarne però è bene partire dalla sua storia. Nato nel 1938 in Algeria Rabhi perde presto i genitori e viene adottato da una coppia francese. Passa gli anni della sua prima formazione a Parigi dove, più che le scuole, frequenta le fabbriche, luoghi che gli forniscono materiale buono per le sue prime profonde riflessioni sulla natura dell'uomo. Poi, negli anni ‘60, decide di trasferirsi in campagna con la moglie, e precisamente ad Ardèche, nel Sud Est della
Francia, in un territorio piuttosto difficile dal punto di vista agronomico, che tuttavia non scalfisce la sua capacità di abbracciare e favorire la vita. Anzi, le difficoltà del territorio diventano uno stimolo. Si avvicina presto, nei primi ‘70, alle teorie di Steiner e Pfeiffer sull'agricoltura biologica e biodinamica, e lentamente trasforma la sua piccola fattoria in quella che lui stesso oggi definisce "un'oasi di vita".

Intanto si occupa di viaggiare e insegnare ai contadini, soprattutto quelli africani e di zone povere del pianeta, quella che anche lui definisce "agroecologia": un modo semplice, armonico con la Natura, per far fruttare i terreni senza depredare risorse e riconquistare la propria sovranità alimentare; per nutrirsi coniugando le proprie esigenze con quelle dell'ambiente e nel frattempo circondarsi di bellezza. Un fattore, quest'ultimo, che va ben al di là della semplice questione estetica (e per questo rivoluzionario), decisivo in tutte le sue riflessioni, molto alte e molto comprensibili allo stesso tempo. La popolarità nella sua terra adottiva cresce molto negli anni, al punto che nel 2002 rischia seriamente di candidarsi all'Eliseo: un contadino Presidente, sarebbe stato un bel sogno, ma gli ostacoli in quel caso erano davvero insormontabili.

Quest'aneddoto sulla sua vita non tragga in inganno: Rabhi è e resta un contadino, e come tutti i veri
contadini ha un modo di pensare animato da un amore quasi fisiologico per la semplicità. È assolutamente guidato da quel buon senso che, pur se molto immediato in chi lo pratica con  convinzione, è in realtà uno dei modi di ragionare più complessi che si possano immaginare: tiene conto delle connessioni nascoste attorno all'io ed acquista potenza in maniera direttamente proporzionale alla complessità che abbraccia. Da qui scaturiscono parole pienamente condivisibili, che nella prima parte del libro, dedicata alla Terra, forse non riveleranno nulla di nuovo a chi frequenta queste tematiche, ma sono espresse con una linearità e un'immediatezza che rendono lo strumento, la forma di manifesto, quanto mai utile ed efficace.

Si va ancor più in profondità nella seconda parte, con tema umanesimo, che ci parla della necessità di una profonda rivoluzione delle coscienze per cambiare paradigmi, in particolare a partire dalla comprensione e dalla ricerca della bellezza. «Può la bellezza salvare il mondo?» si chiede retoricamente Rabhi, e si capisce che il suo incanto di fronte all'armonia della natura non è semplice rapimento poetico, ma è struttura, programma politico, comprensione del complesso, del nascosto, rispetto per la delicatezza dei sistemi ecologici ma anche tributo alla grandezza che possono ancora esprimere i contadini su questa Terra tanto bistrattata. Il messaggio che bellezza, piacere o paesaggio siano i veri presupposti per un'ecologica gestione della cosa umana non è ancora del tutto compreso oggi: mentre si risvegliano tante coscienze ambientaliste, il bello e il buono purtroppo restano spesso dei tabù, confusi con un lusso per pochi. Devono invece essere la norma per tutti, a partire dalla loro più immensa semplicità, se vogliamo che la qualità della vita diventi qualcosa di reale, piuttosto che una buona intenzione ripetuta all'infinito.

Paesaggio: così l'Italia ha cambiato faccia

Almanacco della Scienza. Quindicinale del Consiglio Nazionale della Ricerche, giugno 2011

Dall'Unità d'Italia a oggi, i mutamenti del paesaggio italiano sono stati radicali. Diversi i modi, i ritmi e i tempi la matrice di tali processi: il passaggio da un'economia rurale a una basata sull'industria e protesa verso la terziarizzazione.

"I paesaggi italiani sono stati interessati dal processo di ridistribuzione della popolazione che ha visto incrementi sostenuti in prossimità di sistemi urbani e litoranei, e cali demografici altrettanto significativi lungo tutto l'arco alpino e la dorsale appenninica", spiega Maria Mautone, direttore del Dipartimento patrimonio culturale (Dpc) del Cnr e professore ordinario di Geografia presso l'Università ‘Federico II' di Napoli. "L'esodo rurale, coinvolgendo le fasce più giovani e attive, ha condannato l'entroterra montano e collinare a una ‘marginalità' che ancora oggi caratterizza estesi ambiti del paese, mentre i poli urbani si sono imposti sempre più come ‘aree trainanti', dello sviluppo". "Il un turismo balneare intensificando in modo sostenuto la trama edilizia, ha depauperato lo skyline costiero e biotopi di rilievo, caratterizzati da macchia mediterranea, sistemi dunari e retrodunari tipici dei litorali bassi e sabbiosi" prosegue la docente.

Così il territorio italiano ha via via perso la sua armonica fusione e interazione tra componenti naturali e antropiche.

"Ad esempio, nelle prime carte topografiche d'Italia, prodotte alla fine dell'Ottocento dall'Istituto geografico militare, Milano si mostrava ancora come una ‘città compatta', in cui era possibile riconoscere l'imprinting delle molteplici stratificazioni storiche e culturali", continua il direttore del Dpa-Cnr. "Tuttavia, già nelle carte degli anni Trenta, la città si sviluppa in tempi così ristretti da far parlare di ‘espansione a macchia d'olio' del tessuto edilizio che va a fagocitare, la campagna circostante".
Tale dinamica segnerà l'evoluzione di molte città in ‘agglomerazioni', insiemi discontinui per qualità e valori edilizi. Però anche l'auspicato ritorno verso aree rurali e centri minori, a partire dagli anni Ottanta, non è stato meno insidioso per il paesaggio italiano.

"Questo movimento inverso, ‘rurbanizzazione', può essere considerato un ulteriore dilagare della città nella campagna", commenta Mautone. "Mentre i territori rimasti marginali hanno paradossalmente conservato integro il loro paesaggio, ma svuotandolo di significati. Ad esempio, i centri minori disposti su siti d'altura si caratterizzano per un incremento delle residenze dismesse e abbandonate; si perdonole sistemazioni tradizionali del paesaggio agrario italiano (tagliapoggio, cavalpoggio, ciglionamento, terrazzamento). Nel caso delle aree marginali è necessario un grande piano di sviluppo economico che, partendo dalle risorse culturali e ambientali, leghi paesaggio e produttività in un'ottica sostenibile".

Tra il 1965 e il 1968 il Cnr realizza i 26 fogli della ‘Carta dell'utilizzazione del suolo d'Italia', fotografando l'assetto colturale dell'Italia prima che i fenomeni dell'urbanizzazione diffusa e dell'industrializzazione lo stravolgessero. "Realizzata con il supporto della Direzione generale del Catasto, sulla base cartografica del Tci" continua la docente, "la Carta ha ancora oggi grande valore, anche perché corredata da una collana di ‘Memorie illustrative' che, analizzano dati statistici tratti dai censimenti dell'agricoltura Istat".

Per rispondere alle esigenze di tutela dei beni culturali in una prospettiva più ampia e complessa, in anni più recenti il Cnr ha promosso il ‘Progetto finalizzato sui beni culturali'. Le linee di ricerca attuate dal Dipartimento patrimonio culturale nell'ultimo quinquennio si sono poi rivolte alla gestione integrata e a una visione dinamica degli aspetti materiali e immateriali dei sistemi territoriali. In tale prospettiva, il volume ‘Patrimonio culturale e paesaggio. Un approccio di filiera per la progettualità territoriale' (a cura di Maria Mautone e Maria Ronza) sintetizza al meglio quest'iter di ricerca.

"L'Ente, avvalendosi dell'integrazione di competenze e professionalità" conclude Mautone "ha maturato diversificate metodologie nell'ambito della ricerca di base e applicata per leggere e valutare i frammenti di cui si compone la realtà del territorio"

Bulimia immobiliare

Luca Martinelli, 24/10/2011. http://www.altraeconomia.it/

Appartamenti invenduti in tutta Italia, ma si continua a costruire. Si allungano i tempi dei mutui, aumentano gli sfratti: benvenuti nella “bolla 2.0”


Nemmeno chi cerca casa, la trova. “Difficoltà d’incontro tra domanda e offerta”, spiega Fabiana Megliola, responsabile dell’ufficio studi di Tecnocasa, rete di franchising immobiliare. E traduce: “C’è più offerta, più scelta. I potenziali acquirenti girano, girano. E i tempi di vendita si dilatano”. La Ducale spa è il braccio immobiliare di Tecnocasa. Costruisce, dal 1999. Gaetano Mirabile è un consulente commerciale della società. Il suo ufficio è a Paullo, quindici chilometri da Milano, a fianco del cantiere di “Habitaria”, un edificio in classe A, la cui costruzione è iniziata nell’autunno del 2010. “Nel primo anno, abbiamo venduto il 20% degli immobili -racconta, mi aspettavo un po’ di più. A questo punto, conto di raddoppiare entro l’ottobre 2012, quando consegneremo gli appartamenti”. Che sono una quarantina e costano in media 2.800 euro al metro quadro.

Il preventivo per un trilocale (con terrazzo) più box è di 334mila euro. Per il mutuo, mi spiega Gaetano, potrei avvalermi di Kìron, altra società del gruppo. Per chi può, il servizio “chiavi in mano” offre anche una persona dedicata a vendere, attraverso la rete Tecnocasa, la mia casa “usata”. La Ducale (44,9 milioni di euro di fatturato nel 2007, 13,6 nel 2009, 21,2 nei primi 7 mesi del 2010) cerca di restare a galla investendo sull’efficienza energetica degli appartamenti e sulla capacità di far rete tra le diverse realtà del gruppo Tecnocasa, “gli altri, a Paullo, alla consegna degli appartamenti se va bene hanno venduto il 20% degli immobili”.

È una nuova emergenza casa, che oggi non è più, né solo, un problema legato all’accesso, al “diritto all’abitare”: l’edilizia residenziale sta affrontando una fase patologica e degenerativa (si continua a costruire, nonostante il numero di compravendite immobiliari sia caduto del 29% dal 2006 al 2010) e il paziente, che è l’Italia, rischia di non guarire più. .

domenica 18 dicembre 2011

Alberghi e centri commerciali col pretesto del porto turistico ecco il nuovo sacco delle coste

di Antonio Fraschilla, La repubblica 16/11/2011

Parzialissimo elenco (forse solo l’inizio) di un catalogo di affari che sviluppano la distruzione dell’ex Belpaese.


Le ruspe di colossi delle costruzioni e dell´impiantistica, magnati del petrolio e imprenditori locali hanno acceso i motori per prendersi le rive del Belpaese - La parola magica che dà il via libera a nuovo cemento entro i 150 metri dalla battigia è waterfront, declinata in sigle come "rifacimento del litorale" - A Pozzuoli si gioca la partita edilizia più importante del Mezzogiorno, a Ostia in programma beauty farm e ristoranti, a Palermo approvata l´ennesima struttura

Nella Liguria devastata dall´alluvione c´è chi è pronto a mettere altro cemento su una costa che non regge più all´urto dell´acqua che scende dai monti. In Sicilia invece il cemento si vuole depositare direttamente davanti al mare, nel cuore di un sito Unesco. Ecco le mani sulle coste d´Italia. Le ruspe di colossi delle costruzioni e dell´impiantistica, di magnati del petrolio o di imprenditori sconosciuti, hanno già acceso i motori. Vogliono prendersi le rive del Belpaese, che in teoria - cioè secondo la legge - sono inedificabili. Per metterci palazzoni, alberghi, ristoranti e centri commerciali. La parola magica che consente di aggirare il divieto assoluto di costruire entro i 150 metri dalla battigia è "waterfront", declinata in sigle del tipo «rifacimento della costa» o «nuovo porto turistico». Da Santa Margherita Ligure a Siracusa, passando per Marina di Massa, Cecina, Fiumicino, Napoli, Brindisi o Lipari, ecco i grandi affari in riva al mare. In campo imprese e società pronte a gettarsi a capofitto su un business che solo di opere edilizie vale al momento 1,5 miliardi di euro, che si moltiplicano a dismisura se si aggiungono gli affari commerciali collaterali una volta ultimate le costruzioni. Per cercare di arginare quelle che gli ambientalisti definiscono «le mille Val di Susa in riva al mare» si battono giornalmente associazioni come Italia Nostra, Wwf e Legambiente, e sparuti comitati di cittadini spesso lasciati soli dalla politica locale a fronteggiare poteri forti, anzi fortissimi, visto che in tempi record riescono a farsi approvare varianti urbanistiche su misura come non accadeva nemmeno nella Palermo o nella Napoli del sacco edilizio. Ma quali sono i progetti in via di approvazione o già in fase di realizzazione? Chi c´è dietro le società private interessate a questo grande business?


Hotel dietro al porto

Il viaggio nei waterfront d´Italia parte dalla Liguria, da Santa Margherita. Qui la società Santa Benessere, guidata da Gianantonio Bandera, imprenditore ligure noto per il rifacimento del teatro Alcione e per il progetto del contestato porticciolo a Punta Vagno, ha presentato al Comune un progetto da 70 milioni di euro e la richiesta di concessione demaniale dell´area portuale per i prossimi 90 anni. Cosa vuole realizzare? Un centro di talassoterapia da 30 mila presenze annue e l´allungamento del molo e della diga foranea per chiudere il golfo e consentire anche a megayacht di 50 metri di poter attraccare a Santa Margherita. Dal Fai ad archistar come Renzo Piano, in tanti contestano il piano della Santa Benessere, che dietro di sé ha soci e finanziatori più o meno occulti. L´azionista di maggioranza della società che ha presentato il progetto è un trust inglese, la Rochester holding, che a sua volta ha tra i finanziatori Gabriele Volpi, magnate diventato miliardario con il petrolio nigeriano e che oggi guida un gruppo da 1,4 miliardi di fatturato con proprietà che vanno dalla logistica petrolifera alla pallanuoto e al calcio: è proprietario della Pro Recco e dello Spezia. I soldi insomma ci sono. Lui, Volpi, prende le distanze dicendo di non sapere nulla di questo progetto e di avere investito «soltanto nel trust inglese». In realtà nel cda della Santa Benessere siedono Bandera e Andrea Corradino, entrambi soci dello Spezia calcio. Entro lo scorso novembre il Comune ligure aveva dato tempo per presentare osservazioni al piano.

Pochi chilometri più a Sud di Santa Margherita altre ruspe e altri costruttori si stanno muovendo per realizzare alberghi sul mare laddove sulla carta non si potrebbe piazzare nemmeno un palo della luce. Tra Marina di Carrara e Marina di Massa il gruppo di Francesco Caltagirone Bellavista vuole costruire un porto turistico da 800 posti. Peccato però che tra le strutture a supporto metta anche «40 appartamenti, uno yacht club e un residence a tre piani». «E perfino una torre di otto piani e una piazza da 6000 metri quadrati», dice Antonio Delle Mura, presidente di Italia Nostra Toscana. Le amministrazioni comunali guardano con molto interesse all´iniziativa, in ballo ci sono investimenti per 250 milioni di euro e lavoro per molti concittadini. «Nessuno pensa alle conseguenze ambientali e all´impatto devastante per quest´area, con il rischio di erosione della spiaggia e occultamento della vista a mare: tutti sembrano essersi dimenticati, inoltre, che il progetto presentato ricalca una iniziativa del 2001 presentata dall´Autorità portuale e bocciata allora dal ministero dell´Ambiente», aggiunge Delle Mura.

Italia Nostra in Toscana insieme al Wwf è impegnata però anche su un altro fronte, quello di Cecina. In campo c´è una cordata d´imprenditori locali raccolta nel Club nautico che vuole rivoltare come un calzino il vecchio porticciolo, allargandone la capienza a mille posti barca. Fin qui nulla di strano. Se non fosse che accanto al porto si vorrebbe realizzare un parcheggio da 2000 posti auto, 400 box attrezzati, 40 esercizi commerciali, un hotel a 4 stelle, un centro benessere e 80 appartamenti. E, ciliegina sulla torta, un padiglione esposizioni per la nautica e un mercatino del pesce, con ristorante ed eliporto. «Cosa c´entra tutto questo con un porto turistico?», si chiede la professoressa Roberta De Monticelli, che ha denunciato quanto sta accadendo a Cecina alla Commissione Europea: «Spostare una foce e realizzare un pennello a mare che cambierà le correnti, il tutto in una riserva dello Stato, insomma è davvero incredibile», aggiunge la De Monticelli. Ma quali sono i meccanismi per aggirare il divieto di costruire sulla costa? In base a quali leggi si può andare oltre i piani regolatori vigenti?

Bonifiche di facciata

È certamente a una manciata di chilometri da Napoli che si sta giocando una delle partite edilizie più importanti del Mezzogiorno. E precisamente a Pozzuoli nell´ex area industriale Sofer-Ansaldo, oggi di proprietà della Waterfront flegreo: società, questa, del gruppo dell´ingegnere Livio Cosenza, settantenne, grande elettore del sindaco di Pozzuoli Agostino Magliulo, padre dell´onorevole Giulia e di Francesco, 35 anni, amministratore delegato della Watefront. Nel board della società in questione siede inoltre Carlo Bianco, consigliere d´amministrazione della Pirelli Re. La partita inizia quando il Comune nel 2007 affida all´architetto Peter Eisenman un piano di riqualificazione dell´area. Il piano viene consegnato all´amministrazione, che a sua volta firma subito un protocollo d´intesa con la Waterfront. Cosa prevede il mega progetto di Eisenman? Semplice, la realizzazione di un polo turistico alberghiero con annesso centro commerciale, un polo per la nautica da diporto con tanto di accademia della vela e un terzo polo definito genericamente «polifunzionale». La Waterfront affida subito la progettazione esecutiva a uno studio locale, nel quale lavora tra gli altri la figlia del sindaco di Pozzuoli. Il Cipe, nel frattempo, stanzia 40 milioni di euro per la bretella che collegherà l´area all´autostrada. Le ruspe sono pronte, visto che le carte ci sono tutte e sono in regola. In arrivo 600 milioni di euro d´investimenti, con tanto di anticipo già approvato da Intesa Sanpaolo.

Per il professore d´economia dell´Università di Napoli Ugo Marani si tratta «di un bel progetto che sarà trasformato in scempio» e per questo «va fermato». L´opposizione di Pozzuoli, dal Pd a Rifondazione protesta, ma al momento l´iter burocratico è già concluso e c´è poco da fare. Altri affari sono in corso nelle grandi città. Sul litorale romano, a esempio, il sindaco Gianni Alemanno ha in mente progetti in grande stile: attraverso l´Eur spa punta a stravolgere il waterfront di Ostia, costruendo beauty farm, alberghi, centri commerciali, ristoranti e perfino una scuola di surf, il tutto con la scusa di raddoppiare il porto attuale. A Palermo, invece, il consiglio comunale ha appena approvato il nuovo piano regolatore del porto, che prevede la realizzazione di un ennesimo porticciolo turistico nella zona di Sant´Erasmo, a due passi dal centro storico della città e nonostante vi siano già altri tre porti turistici in funzione sul lungomare palermitano. Nel capoluogo siciliano gli ambientalisti da anni contestano la riqualificazione di Sant´Erasmo, che sarà affidata a una società privata che gestirà il porticciolo per i prossimi trent´anni.

Piattaforme nel sito Unesco

Le ruspe e le betoniere sono invece già in azione nel cuore di un luogo protetto dall´Unesco: Ortigia, centro storico di Siracusa che si affaccia sul bellissimo golfo aretuseo intriso di storia e leggende greche. Qui il gruppo Acqua Pia Marcia del costruttore Francesco Caltagirone Bellavista ha iniziato i lavori d´interramento per il nuovo porto turistico che sarà chiamato Marina di Archimede. Il progetto da 80 milioni di euro, presentato nel 2007 da una società locale, approvato dal Comune a tempo di record e acquistato in corsa dal gruppo Caltagirone, prevede lavori su un´area di 147 mila metri quadrati, 50 mila dei quali in riva al mare: saranno realizzati 507 posti barca, ma anche «uffici, negozi ristorante, caffetteria, centro benessere e un albergo», dice il deputato regionale del Pd, Roberto De Benedictis. Ma al Comune è arrivata una seconda richiesta, questa volta da parte di una società d´imprenditori locali, la Spero srl, che vuole realizzare un altro porto a fianco di quello di Caltagirone. La Spero vuole investire 100 milioni di euro per costruire un molo da 430 posti barca e sul mare una piattaforma - grande quanto sette campi di calcio - da rendere edificabile per mettere in piedi alberghi, centri commerciali, uffici pubblici, ristoranti, tabaccherie e anche una libreria, per dare un tocco di cultura a un´operazione che, come sostiene il deputato Pd Bruno Marziano, «realizzerebbe il sogno di qualsiasi costruttore: cementificare il mare». Il Comune ha già approvato il progetto e l´ha inviato alla Regione per l´autorizzazione integrata ambientale. «Ci si chiede però come sia possibile costruire alberghi in riva al mare o sul mare, in un sito protetto dall´Unesco. Sarebbe una follia», dice ancora De Benedictis. Intanto Legambiente annuncia battaglia: «Difenderemo Ortigia da queste speculazioni», giura il presidente regionale Domenico Fontana. Ma tutti questi nuovi posti barca sono davvero necessari? Non c´è un altro modo per aumentare l´offerta?

Riqualificare i porti abbandonati

Santa Margherita, Massa Carrara, Napoli, Siracusa, sono soltanto la punta di un iceberg fatto di speculazioni sulle coste in nome dell´esigenza di nuovi posti barca che servono per attrarre turisti ma anche per costruire in zone inedificabili. Italia Nostra ha in corso una ventina di battaglie per bloccare la costruzione di nuovi porti, come quelli di Cecina, San Vincenzo e Talamone in Toscana, o Fiumicino, Anzio e Civitavecchia nel Lazio e, ancora, risalendo, quelli di Sarzana e Ventimiglia in Liguria. Soltanto in Sicilia sono già stati varati, o stanno per essere approvati, progetti di costruzione di ben 12 porti, da Menfi a Licata, da Marsala a Capo d´Orlando e Lipari, benedetti da 24 milioni di euro dell´Unione europea. Soldi pubblici per porti che saranno gestiti da privati scelti spesso senza alcuna procedura di evidenza pubblica. «Il territorio costiero è evidentemente sotto attacco», dice la presidente di Italia Nostra, Alessandra Mottola Molfino. Secondo Sebastiano Venneri, presidente nazionale di Legambiente, si tratta di puri e semplici affari perché basterebbe riqualificare i vecchi porti per ottenere migliaia di nuovi posti barca senza ulteriori cementificazioni: «Abbiamo appena completato uno studio che mette nero su bianco come sia possibile ottenere ben 39.100 nuovi posti barca semplicemente riqualificando i porti abbandonati - dice Venneri - circa 13 mila posti sono attivabili immediatamente con piccolissime opere di restauro, 9 mila posti in tempi brevi e altri 15.800 con lavori che non vanno oltre i 24 mesi». Ma in questo caso il business sarebbe molto meno appetibile. Almeno per i signori del cemento.

Serve un Keynes per salvare il Belpaese

di Salvatore Settis, La Repubblica, 15/12/2011

Tre temi sui quali misurare la volontà del governo Monti di abbandonare l’ideologia e la prassi dello “sviluppo” devastante.

Ambiente, paesaggio e beni culturali in tempo di crisi: a governo tecnico, qualche appunto tecnico.

Primo: ancora più fragile dell´economia italiana è il suolo della Penisola. Sono state censite almeno mezzo milione di frane, che interessano poco meno del 10% del nostro territorio. Non si tratta solo di morfologia naturale: il degrado è velocizzato dall´abbandono delle coltivazioni e da incendi boschivi spesso dolosi. Ma anche dalla cementificazione (infrastrutture e insediamenti abitativi) che sigillando i suoli accresce la probabilità di frane e alluvioni e ne rende più gravi gli effetti, dall´incuria per il regime delle acque, che riduce le risorse idriche e genera disastrose esondazioni. Queste traumatiche alterazioni del suolo comportano enormi danni (almeno 5 miliardi di euro negli ultimi sette anni, secondo l´Ispra) e continue perdite di vite umane. Molto vulnerabili anche le nostre coste, quasi 5.000 chilometri già in continua erosione e a rischio allagamento per almeno il 24% (dati Ispra), eppure ancora devastate dalla proliferazione di porti turistici, a celebrare i fasti di una prosperità che non c´è più. Eppure, mentre il degrado del territorio avanza con ritmo spietato, sentiamo ripetere la favola di uno "sviluppo" economico basato sul moltiplicarsi di autostrade e ferrovie (anche se inutili) e sul rilancio dell´edilizia (mediante condoni, sanatorie, "piani casa"). Ma se così fosse, perché questo tipo di sviluppo ha prodotto la crisi profonda che attraversiamo? Dopo la frana di Giampilieri presso Messina, che nell´ottobre 2009 uccise quaranta italiani, Bertolaso ne attribuì la colpa all´abusivismo edilizio, ma si affrettò a dichiarare che per consolidare quel tratto di costa mancano le risorse, «due o tre milardi di euro». Due giorni dopo, il ministro Prestigiacomo dichiarò che «il ponte sullo Stretto non è alternativo alla protezione dell´ambiente», e il ministro Matteoli disse che i lavori per il ponte devono continuare. Questa è l´idea dello "sviluppo sostenibile" che ci è stata fino a ieri propinata: non un centesimo per consolidare le coste dello Stretto, "uno sfasciume pendulo sul mare" secondo la celebre definizione di Giustino Fortunato, sì invece a una pioggia di miliardi per costruire su quelle frane un´opera faraonica (la definizione è del presidente Napolitano). Questo governo avrà la forza di mettere in discussione le favolette che ci sono state ammannite? Vorrà studiare caso per caso, con esperti terzi e non legati alle banche e alle imprese appaltatrici, la sostenibilità reale della Tav in Val di Susa e altrove? O vorrà allinearsi all´elegante dichiarazione dell´ad di Trenitalia, Moretti, secondo cui a sollevare dubbi contro la TAV sarebbero solo «quattro fessi»?

Secondo: il paesaggio italiano è fra i più devastati d´Europa. A fronte di un incremento demografico nullo, abbiamo il più alto consumo di suolo d´Europa. Incentivi, sanatorie e condoni hanno seminato per il Paese migliaia di capannoni "industriali" dove non si produce nulla e nulla viene immagazzinato (ma che "producono" vantaggi fiscali per chi li fa). Almeno due milioni sono gli appartamenti invenduti (centomila solo a Roma e dintorni), eppure si continua a costruire. Città preziose come Bologna vedono svuotarsi il centro storico, mentre si favoleggia di grattacieli, imitando gli sceicchi del Golfo Persico in una provinciale corsa a una "modernità" già stantia. La retorica delle energie rinnovabili aggrava la situazione: l´Italia è il Paese europeo con più incentivi a chi installa eolico e pannelli solari, mentre non spende quasi niente in ricerca per massimizzarne gli effetti e ridurne l´impatto. Se davvero credessimo nelle rinnovabili, dovremmo fare esattamente il contrario. Perché non dare, invece, incentivi a chi riusa edifici abbandonati, anziché costruirne di nuovi? O a chi salva o incrementa l´uso agricolo dei suoli? Cura del suolo e riuso degli edifici abbandonati potrebbero innescare un processo virtuoso, assorbendo manodopera di un´edilizia comunque in crisi e allo sbando.

Terzo: da quando il governo Berlusconi tagliò quasi un miliardo e mezzo al già languente bilancio del ministero dei Beni culturali (luglio 2008), le strutture pubbliche della tutela hanno visto un vertiginoso ridursi di funzionalità e capacità d´intervento. Mentre cala ogni giorno il numero degli addetti, per pensionamenti e assenza di turnover, e la loro età media si avvicina ormai ai 60 anni, aumentano sulla carta i loro compiti. Soprintendenti-superman devono reggere due, tre, quattro uffici spostandosi da una città all´altra, e intanto mancano i soldi per telefono, benzina, luce elettrica. Per rimediare, qualcuno ha una soluzione pronta: chiudere le Soprintendenze, accorpando gli ultimi superstiti in uffici regionali senza competenze, senza bilancio, senza poteri. Piccola osservazione tecnica: la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della Nazione, imposta dall´art. 9 della Costituzione, non si può fare se non c´è chi tutela. E nessuno al mondo ha mai inventato un sistema migliore delle Soprintendenze territoriali italiane, gloriosa istituzione che ha un secolo e deve essere rinnovata e migliorata, ma non messa in soffitta.

Il governo Monti ha raccolto altissime competenze, a cominciare da quelle del presidente del Consiglio e del ministro dello Sviluppo Passera. Da un governo come questo abbiamo il diritto di aspettarci un´analisi fredda e professionale dei dati, e la capacità laica di dirsi, e di dirci, la verità. È un dato positivo della "manovra" di questi giorni l´assenza della voce "dismissioni del patrimonio pubblico", una fonte d´introiti assai amata da Tremonti. Ed è da augurarsi che il patrimonio culturale e il paesaggio, protetti dalla Costituzione, non vengano mai più messi in vendita. È deludente, invece, che manchi un tentativo minimamente adeguato di combattere l´evasione fiscale: 120 miliardi l´anno di tasse non pagate sono una enorme risorsa economica non sfruttata, anzi generalmente rimossa dalla pubblica attenzione, con sfumature non poi tanto grandi fra centrodestra e centrosinistra. Attingervi potrebbe risparmiarci qualche lacrima sui sacrifici che ci attendono. Sarebbe essenziale per rispondere al sempre attuale invito di Keynes: sconfiggere "l´incubo del contabile", e cioè il pregiudizio secondo cui nulla si può fare, se non comporta frutti economici immediati. «Invece di utilizzare l´immenso incremento delle risorse materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie - scrive Keynes - stiamo creando ghetti e bassifondi; e si ritiene che sia giusto così perché "fruttano", mentre – nell´imbecille linguaggio economicistico - la città delle meraviglie potrebbe "ipotecare il futuro"». Questa «regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa ogni aspetto della vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo» (è ancora Keynes che parla). Il paesaggio, l´ambiente, il patrimonio culturale sono come il sole e le stelle: illuminano e condizionano la nostra vita, corpo e anima. Perciò hanno un ruolo così alto nella Costituzione, dove incarnano l´idea che ne è il cuore: il bene comune e l´utilità sociale, sovraordinati al profitto privato. Paesaggio, ambiente, patrimonio richiedono sapienza tecnica per essere tutelati: ma richiedono anche un´idea d´Italia, un´idea declinata al futuro.