Roberto Mazza, professore di Psicologia sociale e di Servizio sociale all’Università degli Studi di Pisa
Nel 1980 lo stato della Colonia Olivetti (ex Gil) era ancora in condizioni perfette. Ogni anno alcuni operai e giardinieri provvedevano a mantenerla con ordinarie manutenzioni, controlli e piccoli restauri, pitturazioni, sistemazioni infissi, giardinaggio e potature della pineta. Le varie maestranze assicuravano alla struttura il dovuto decoro e la sicurezza necessaria per poter ospitare ogni anno centinaia di figli di operai e di impiegati (età compresa tra i 6 e gli 11 anni), che raggiungevano Marinella da Ivrea. Da giugno a settembre la colonia si popolava, come un vecchio e prestigioso albergo della riviera, con centinaia di piccoli ospiti, venti educatori, direttori, economi, magazzinieri, camerieri, inservienti, perfino uno psicoanalista che di tanto in tanto giungeva da Firenze per supervisionare i gruppi di operatori. La funzione psico-socio-pedagogica (ma anche di prevenzione sanitaria) della colonia rispondeva a quella filosofia sociale cara ad Adriano Olivetti di voler garantire ai figli dei dipendenti (anche a chi non avrebbe potuto permetterselo) vacanze salutari, socializzazione, gioco, educazione, investendo una parte dei profitti dell’azienda in servizi sociali. In quegli anni ero tra i tanti giovani “monitori” selezionati ed addestrati da Olivetti nei centri Cemea, prestigiose scuole di formazione di gruppo sorte in Francia durante la resistenza, e prosecutori di una grande tradizione di esperienze di approccio democratico e partecipativo, secondo i principi di educazione attiva e col contributo dei modelli psicoanalitici applicati alla pedagogia. Per conto di Olivetti, Lia e Cesare Godano gestivano a Ponzano Magra, in una bella villa liberty (ora circondata dagli obrobri delle giunte palazzinare), uno dei centri di formazione residenziale in questa prospettiva.
La colonia offriva quindi lavoro a circa venti educatori, di cui 4 maschi e 16 femmine. I rapporti “affettivi” tra gli educatori erano vietati da norme implicite, ma severamente tramandate. Nessuno trasgrediva, almeno dentro la struttura. Come dovrebbe accadere in ogni “comunità” rispettabile, regole e rigore erano essenziali per lo svolgimento al meglio delle attività per cui eravamo destinati, e per il buon funzionamento dei gruppi. Vitto e alloggio erano straordinari. Gli stipendi ottimi. Con il primo mi pagai un mese di soggiorno-studio a Londra.
Ogni sera la severa direttrice – messi a letto i bambini - ci accudiva con sorbetti, gelati e frutta, ricompensandoci delle fatiche diurne. Le ultime ore della serata erano passate in giardino di fronte al mare o nella terrazza fantastica fronte mare, che il regime già destinava all’elioterapia. Si trattava di una struttura già estremamente funzionale, con pochissime barriere architettoniche, grandi saloni ben divisi e servizi accessibili. Il rapporto colonia-spiaggia-pineta era perfetto. Dal giardino si accede infatti direttamente alla spiaggia. Lato monti invece la pineta assicurava ai bambini ore di gioco tranquille e fresche nelle ore pomeridiane. Ci si può solo immaginare cosa fosse Marinella prima dei palazotti a mare, e prima ancora che costruissero gli edifici che separano la tenuta dalla pineta, e prima che venisse pensata “Luni mare”. I deboli, anche se plausibili motivi, per cui i fossati di Sarzana vennero riempiti di palazzotti, qui a Marinella non trovano alcuna sensata giustificazione. Le poesie di Corrado Martinetti e qualche immagine d’epoca possono farci capire la portata del disastro.
Curiosamente Gil, nata nel ventennio per assicurare il benessere delle generazioni future ma anche la cura e la prevenzione del rachitismo diffuso negli anni 30, e assicurare a molte famiglie sollievo e cure (anche alimentari) altrimenti impensabili, proseguiva con l’esperienza di Olivetti, ripulita degli elementi ideologici del Littorio e ridefinita nei termini di una esperienza innovativa da un punto di vista psicopedagogico, che includeva peraltro anche consulenza sanitaria, dietologica e prevenzione odontoiatrica. L’attenzione e l’approccio rivoluzionario di Adriano Olivetti ai servizi sociali è ancora oggi argomento di convegni e monografie. La lungimiranza ed avanguardia del Centro Studi di Ivrea è assai nota, e già dal dopoguerra, si annoveravano tra i consulenti giovani studiosi come Francesco Alberoni e Franco Ferrarotti, psicoanalisti del calibro di Cesare Musatti, pedagogisti e giuslavoristi di fama internazionale. Anche la colonia di marinella era un esemplare di questo modello ideale di gestione aziendale, democratica, partecipata, innovativa.
Ma la full-immersion di quei mesi estivi passati a soli vent’anni, 24 ore su 24 in colonia, scandita da lavoro, riposo, recite, responsabilità per i bambini, sieste pomeridiane, bagni, serate in terrazza, profumi, silenzi, canti di gruppo, paesaggi, aquiloni, tramonti, evoca inevitabilmente, insieme alle molte emozioni, alcune importanti riflessioni sugli usi, abusi e trascuratezze dei beni pubblici , i nostri beni comuni importanti e belli, come questo. La scarsa considerazione ed attenzione al loro mantenimento e cura svela disattenzione e nessun rispetto per i beni culturali da parte delle amministrazioni di oggi, che si spinge in taluni casi al disprezzo della nostra storia (Salvatore Settis ci ha spiegato come durante il ventennio ci fosse maggior sensibilità alla tutela dei beni culturali e paesaggistici di quanta ve ne sia oggi). Ma anche l’incapacità di percepire o di inventare modi diversi per produrre cultura e forse anche lavoro, attraverso nuove forme d’uso di tali beni e differenti approcci turistici ai nostri luoghi.
Il degrado della struttura, avviato dagli anni 80 ad oggi (e per cui ci stiamo mobilitando), se ancora protratto porterebbe inevitabilmente a definirne lo stato di abbandono e di definitiva irrecuperabilità di questa opera, offrendo il solito interessante boccone ai costruttori sempre attenti verso “aree di prestigio degradate” ed alle amministrazioni comunali e regionali con le casse esangui, ed in cerca di nuove entrate.
Ma il mio stupore è suscitato sempre più spesso dai comportamenti degli amministratori locali e dalla loro attenzione quasi ossessiva ai nuovi piani edificatori, alle varianti, alle licenze facili, ai centri commerciali; viceversa una totale mancanza di attenzione al recupero ed al riordino degli spazi pubblici, al disinteresse per possibili aree archeologiche, alla manutenzione dei beni culturali, di cui anche i paesaggi sono parte consistente, ma considerati evidentemente solo un peso assai oneroso: ne è esempio la colonia, ma anche villa Ollandini e quello che era il suo meraviglioso giardino, la fortezza di Sarzanello, la vecchia strada ciottolata che conduce alla Fortezza Castracani, l’ospedale San Bartolomeo, il meno prezioso palazzo neogotico, sede del Canale Lunense, la cui facciata è offesa da quindici anni di totale incuria, il cui manufatto era probabilmente così solido che capriate esterne e tapparelle in legno tuttora resistono allo spregio di gronde e pluviali bucati che le innondano di acqua per interi inverni. E molti altri preziosi manufatti che costituicono le vere risorse inestimabili del nostro territorio.
Non sono tempi facili, ma avremmo bisogno di imprenditori e amministratori che come, Adriano Olivetti, non investissero solo per i propri interessi personali. Ci mancano imprenditori e amministratori illuminati, che guardino al futuro dei giovani, che abbiano fantasia e coraggio, che investano sul tempo, sull’equità e sostenibilità degli interventi, sulla cultura, sul turismo. La via del mattone, come quella dei centri commerciali sulle aree vergini, è la più facile, scontata, corruttibile, ha tempi brevi, distrugge l’appeal del nostro territorio, produce profitti per pochi, offre lavoro edile a termine, promette alle famiglie l’impiego per centinaia di commessi part-time, senza formazione e quindi con limitatissime prospettive per il futuro.
Molto bello questo ricordo della colonia Olivetti: perchè unisce l'esperienza di vita al senso dello spazio e, perciò, del paesaggio. E' importante mettere insieme i due aspetti: quello sociale e quello dello spazio, come esperienza dell'"esserci", qui e ora. Occorre moltiplicare questi contributi alla riflessione intensa e partecipata alla storia e alla memoria dei luoghi. E' la strada, a mio parere, per un urbanistica diversa: fatta di memoria, di relazioni, di identità. Per Sarzana è un itinerario ricco di senso: verso una nuova cultura del territorio.
RispondiEliminaSilvano D'Alto