lunedì 31 ottobre 2011

Una grande alleanza per salvare il paesaggio

di Carlo Petrini, La Repubblica, 28 ottobre 2011

«DOPO i campi di sterminio, stiamo assistendo allo sterminio dei campi». Parole di Andrea Zanzotto, il grande poeta che ci ha da poco lasciato all' età di 90 anni. È una citazione famosa, che chi si batte contro il consumo di suolo (Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Alberto Asor Rosa, Luca Mercalli, Luca Martinelli) giustamente conosce e non esita a utilizzare. Mi accodo buon ultimo anch' io, a maggior ragione di fronte a cosa hanno subito la Liguria e la Toscana negli ultimi giorni, senza dimenticare come Roma è andata in tilt una settimana prima a causa di piogge più intense della norma. Sia che si chiami in causa il cambiamento climatico, sia che si accusi l' eccessiva e disordinata cementificazione, più o meno indirettamente dietro a queste sciagure c' è sempre la mano incauta dell' uomo. Perché il cambiamento climatico lo causiamo noi, la cementificazione selvaggia la pratichiamo noi, abusiva o legale che sia. Le connessioni nascoste tra ciò che facciamo e certe loro brutte conseguenze sono sempre meno nascoste. E fanno male in termini di vite umane, territori cancellati, danni ingenti. Allora, pur se profondamente rattristato dalle ultime alluvioni, voglio dare una buona notizia: domani, a Cassinetta di Lugagnano (MI), ci sarà la prima costituente Assemblea Nazionale del Forum dei Movimenti per la Terrae il Paesaggio. Aderenti da tutta Italia lanceranno la campagna "Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori". Non si può aspettare oltre, urge una mobilitazione. Oggi, dopo quell' insostituibile bene comune qual è l' acqua siamo passati anche alla tutela attiva sul territorio del secondo bene comune irrinunciabile: il suolo fertile. Come il Forum Nazionale dei Movimenti per l' Acqua che ha vinto l' importante battaglia dei referendum nello scorso giugno, anche i movimenti per la terra e il paesaggio hanno deciso di unirsi per agire concretamente, capillarmente sui territori e a livello nazionale. Non è importante dire chi c' è dentro. Anche se le migliaia di aderenti possono vedere sul sito che è il cuore del Forum, www.salviamoilpaesaggio.it, nessuno è qui per fare pubblicità a se stesso o ad altre cause. La bandiera è quella del paesaggio, dei suoli fertili, della loro integrità per rifuggire anche eventi drammatici come quelli liguri. È una bandiera che va al di là di qualsiasi colore o interesse particolare. Migliaia di singoli cittadini, centinaia di organizzazioni nazionali hanno già aderito, stanno nascendo i comitati locali, e chiunque è libero di costituirli. Chi legge con attenzione i giornali, i più diffusi o quelli più piccoli locali, sa che i temi della difesa del suolo libero dalla cementificazione e la tutela del paesaggio sono tra quelli che stanno più a cuore ai cittadini. Normalmente gli articoli che ne parlano e che appaiono su queste pagine sono quelli che scatenano più e-mail di commento, ma soprattutto segnalazioni di cittadini che si oppongono alla costruzione di una zona industriale in un' area agricola, alla devastazione di tratti di costa, a piani regolatori scellerati, alla rovina per sempre del profilo di meravigliose colline e valli. Le denunce continuano a migliaia in tutto il Paese, dai casi più eclatanti ai piccolissimi scempi che rosicchiano minime porzioni di suolo fertile. Ora finalmente ci sarà un vero strumento per passare all' azione, entriamo nel vivo rispetto a un tema dove l' hanno sempre fatta da padrone grandi speculatori, poteri forti e l' interesse di pochi contro quelli della collettività. La campagna "Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori", cui è sufficiente aderire on-line, vuole fare da amplificatore per i problemi a livello locale, ma il Forum che la promuove sta lavorando a due importanti progetti, - potenzialmente dirompenti come i referendum sull' acqua - che si lanceranno domani a Cassinetta di Lugagnano. Il primo è la richiesta da parte dei cittadini al proprio Comune di un censimento, sul proprio territorio, di tutti gli edifici pubblici e privati, civili e industriali sfitti, vuoti e inutilizzati. Soltanto prendendo in considerazione le grandi città, negli ultimi dieci anni in Italia si sono costruite 4 milioni di case, mentre pare che ce ne siano almeno 5,2 milioni di vuote. Per non parlare dei capannoni, la cui proliferazione negli ultimi anni insulta anche il più maleducato senso estetico: continuo a vederne di abbandonati ovunque, con striscioni appesi che ne implorano l' affitto. Prima di costruire altro allora capiamo che cosa c' è a disposizione, utilizziamo l' inutilizzato, smettiamola di edificare dove non si può o dove non si dovrebbe, non sacrifichiamo più suolo libero, perché è fondamentale per la nostra agricoltura e il turismo, ma anche per prevenire frane e alluvioni. Il censimento è una prima mossa, e saranno i comitati locali a pretenderlo, ma poi ci sarà un secondo strumento: il Forum sta lavorando a una legge d' iniziativa popolare per arrivare a una moratoria nazionale al consumo di suolo. La Provincia di Torino ha già fatto una legge di questo tipo, ed è uno degli esempi che cercheremo di seguire, insieme alle legislazioni tedesche e britanniche molto più restrittive delle nostre. Il Comune di Cassinetta di Lugagnano, scelto per la prima Assemblea Nazionale dei Forum per la Terra e per il Paesaggio, è un altro esempio virtuoso perché ha dichiarato il suo territorio "a crescita zero", come del resto già altri piccoli comuni in Italia (e li volevano cancellare!). Non entrino in fibrillazione quelli del settore edilizio: abbiamo così tante case da ristrutturare, da buttar giù per tirarne su di nuove, di brutte da abbellire, senza contare l' enorme sforzo da fare per migliorare l' efficienza energetica che ci sarà lavoro in abbondanza per tutti nei prossimi anni. Come vediamo, ancora una volta in futuro dovremo privilegiare la qualità rispetto alla quantità, fare lavori migliori che dureranno di più nel tempo e miglioreranno la nostra vita e i luoghi in cui viviamo: c' è meno margine per speculare, ma più possibilità per guadagnarci tutti quanti qualcosa ed evitare catastrofi. Ciò che si spende per riparare a disastri come quello occorso in Liguria - ma che ormai si rincorrono mese dopo mese in ogni parte d' Italia - è di gran lunga più costoso di quanto non spenderemmo mai per un' attenta e corretta gestione del territorio. Non c' è bisogno di nuove case, non c' è bisogno di nuovi capannoni: è ora di capire che chi li fa li fa soltanto per il proprio tornaconto privato, e intanto distrugge un bene comune. Rispettiamo la proprietà privata, ma il bene comune deve avere la precedenza. Il paesaggio, forse a prima vista meno tangibile dell' acqua, è un bene comune perché tutelandolo si preservano l' ambiente, la sicurezza delle persone, le attività agricole, i suoli, la bellezza. Il privato, fatti salvi i suoi diritti, non può privare il resto della comunità di qualcosa d' insostituibile e di non rinnovabile. Il privato non può privare.

Il tempo impazzito e l' incuria di Stato

di Giovanni Valentini, La Repubblica, 27 ottobre 2011

È UNA dolorosa casualità quella che fa coincidere nello stesso giorno il disastro nel Nord d' Italia con il viaggio disperato del nostro presidente del Consiglio a Bruxelles. MA NON è purtroppo una fatalità questa "tragedia annunciata", come la definisce polemicamente il Wwf denunciando l' assenza di un presidio sul territorio in grado di prevenire le conseguenze del dissesto idro-geologico. Ed è tutt' altro che casuale la coincidenza fra la crisi economica e l' emergenza ambientale, perché discende dalla lunga storia del Malpaese e dai tagli drastici imposti dalla dissennatezza di questo governo. Con il suo drammatico bilancio di vittime e di danni, l' alluvione che in poche ore ha messo in ginocchio il Nord è in qualche modo una metafora della nostra imprevidenza e della nostra incuria. Consumo del territorio. Cementificazione selvaggia. Condoni a ripetizione. Distruzione del patrimonio naturale. Abbandono delle campagne e dell' agricoltura. Dissipazione delle risorse ambientali ed economiche. Un malgoverno che certamente viene da lontano, ma raggiunge oggi la sua terrificante apoteosi. Non esagerano questa volta i Verdi ad annunciare un esposto contro lo Stato per disastro colposo. «C' è un problema di mancata prevenzione», come ammette lo stesso capo della Protezione civile, Franco Gabrielli. Non ha torto perciò il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, quando contesta a Berlusconi e Tremonti di aver tagliato il 90% dei fondi per l' ambiente. Dai 44 miliardi di euro preventivati per mettere in sicurezza il territorio italiano, di cui 27 per il Centro-Nord, siamo scesi - secondo i senatori "ecodem" Francesco Ferrante e Roberto Della Seta - ad appena 31 milioni. Nel frattempo, il povero ministro Stefania Prestigiacomo ha minacciato più volte le dimissioni e versato lacrime di rabbia, ma non è riuscita a ottenere di più. E ora il suo collega Ignazio La Russa rivendica bellamente l' invio di qualche centinaio di militari sui luoghi del disastro, dopo che la Difesa ha stanziato 16 miliardi per l' acquisto di nuovi aerei da combattimento. Venticinque milioni di danni alla viabilità in Liguria. Danni alle campagne per decine di milioni, come denuncia la Confederazione degli agricoltori. Frane, crolli e macerie. Il paese di Monterosso cancellato e tanti altri evacuati. Sembra un bollettino di guerra, ma è solo il primo inventario di questa alluvione prevista e annunciata. Quando alla fine si faranno tutti i conti, si scoprirà verosimilmente che lo Stato dovrà spendere molto di più di quanto il Tesoro ha tagliato. Ma nessuno potrà restituire la vita alle vittime del maltempo e del malgoverno. «Sono tributi molto dolorosi che paghiamo ai mutamenti climatici», avverte con saggezza il presidente Napolitano. E alle soglie della Terza rivoluzione industriale, il suo - più che un conforto di circostanza - suona come un appello a modificare radicalmente la politica energetica, per salvaguardare l' ambiente e la sicurezza collettiva.

Politici, non venite a chiederci soldi

Maurizio Maggiani,  Il Secolo XIX , 27 ottobre 2011

Io la conosco bene la valle della Magra, da Pontremoli in giù. Chi ci va mai giù lungo il fiume a vedere come è fatto? Io ci vado a vedere la Magra, e lo vedo che cos’è diventata in questi ultimi decenni. È diventata un’unica immensa infinita discarica. Però l’hanno chiamato parco naturale, il parco naturale della Magra.
Così io trovo i cartelli del parco ficcati sulle discariche abusive, sugli argini dissolti. Nel Medioevo la Magra andava fuori due volte l’anno, adesso ha ricominciato a uscire due volte l’anno. Sono passati mille anni, è nata la scienza idrogeologica, l’ingegneria ha fatto passi da gigante, la tecnologia ha messo a disposizione strumenti inimmaginabili, eppure due volte all’anno siamo di nuovo lì a guardare il fiume che va fuori. Ma il presidente del Parco è come se non avesse mai messo piede sul fiume, non credo che si renda conto, che sappia quale devastazione vi sia intorno.
Mi ha telefonato un mio amico che dirige un’impresa di edilizia e scavi. Ieri gli hanno chiesto dieci squadre con le ruspe e tutto quanto. L’anno scorso l’avevano chiamato con altrettante squadre negli stessi posti. Abbiamo fatto solo dei rattoppi, mi ha detto, perché quelli là non hanno soldi. Ma adesso con quello che è successo non puoi più farci niente, neanche i rattoppi. E di soldi ce ne sono meno ancora.

Aulla, uno dei posti più brutti del mondo: il fiume è uscito e ha fatto anche due morti. Mi chiedo: ci sarà una relazione con il fatto che Aulla è uno dei posti più brutti del mondo, costruito male e mantenuto peggio? Sì, c’è una relazione, quella città è così brutta perché la sua comunità negli ultimi decenni ha deciso che non le importava nulla della cura dell’ambiente, del proprio fiume.
Che se guardi bene è un tutt’uno con la cura della propria vita.

Le Cinque Terre, tra i posti più belli del mondo. Sono state per secoli un miracolo di equilibrio tra lavoro umano e morfologia del territorio. Cos’è successo? È successo che negli ultimi trent’anni si è estinto quello che era sempre stato un lavoro bestiale, una lotta disumana, tremenda e faticosissima per contenere i corsi d’acqua, rinforzare le terrazze e i muretti a secco, coltivare quel po’ di arida terra che si arrampica su per i monti. Poi è arrivato il boom del turismo. La gente si è arricchita smodatamente in un colpo solo. Oggi chi possiede anche soltanto una cantina non ha nessuna voglia e nessuna intenzione di lavorare. Uno si siede davanti alla sua cantina, rassettata, condonata e adibita a bed and breakfast e sta lì ad aspettare i turisti. In un anno chi è proprietario di una sola stanza può mettere insieme anche ventimila euro. Esentasse. È stata una rivoluzione straordinaria, spaventosa, credo che la gente non sia nemmeno riuscita a rendersene conto. Ad aggravare le cose in modo altrettanto spaventoso è ciò che hanno fatto i politici di destra e di sinistra. Hanno creato il Parco, l’hanno gestito con i metodi loro. Ma ci sarà qualche relazione tra queste frane e l’inchiesta giudiziaria che il Parco ha azzerato, e che ha mandato tutti in galera?
Il sindaco di Monterosso ha detto che il paese non esiste più. È terribile, ne soffro immensamente, però Monterosso non esiste più da vent’anni. Ci sarà o no qualche relazione tra questo ultimo disastro e tutti gli abusi edilizi del passato recente, prossimo e remoto? Mica soltanto abusi, anche interventi regolarmente autorizzati dal Comune. Hanno detto sì perfino a una piscina a picco sul mare accanto a un albergo. Una piscina. A picco sul mare. A Monterosso.
A Monterosso e in tutte le Cinque Terre è stata aggredita e spolpata fino all’osso, in una sola generazione, una risorsa che ha alcuni milioni di anni. Le chiamano imprese. Per me è solo aggressività e voracità. Imprenditoriale.
Ma quanto può durare un turismo organizzato per portarti nelle Cinque Terre cinque milioni di presenze all’anno? Io che là ci vado a camminare lo vedo quanto dura: vedo i sentieri che crollano, i muri che spanciano, la terra che si spacca. Quanti investimenti sono stati fatti per tutelare quel territorio straordinariamente delicato, rispetto a quanto si sono imbertati tutti, politici e semplici abitanti, quelli delle Cinque Terre?. Bisogna andare a vedere. Qualcuno, pochi, le fasce le tiene ancora, la terra la cura e i risultati si vedono: dagli incendi e dalle alluvioni si salvano i terreni curati e lavorati. Ma quelli che ci lavorano sono un’infima minoranza perché produrre un quintale di vino alle Cinque Terre costa come cento quintali in Romagna. Ma tu, uomo delle Cinque Terre, cosa hai dato al territorio in cambio dei miliardi di euro che ti frutta?

E adesso nessuno mi venga a chiedere di contribuire. I danni li dovrebbero pagare quelli che si sono arricchiti. Sono stufo di pagare io, mi chiedono di pagare anche se voglio solo andare a camminare: hanno messo una tassa di 5 euro solo per camminare, e io da allora non ci sono più andato. Così le Cinque Terre potranno vivere ancora soltanto per il tempo di una generazione. Finita questa, saranno finite le Cinque Terre. Resteranno i figli di quelli che si sono arricchiti e i figli non avranno più nemmeno bisogno di arricchirsi. Avranno solo il problema di godersi i soldi dei padri. Magari, se ne andranno alle Seychelles.

Liguria: le responsabilità della politica (rossa)

di Marina terragni, 28 ottobre 2011 Blog Leiweb

Il 6 luglio scorso, in un post intitolato “Un presidente competente“, parlavo nomina del presidente dell’ente Parco Montemarcello Magra, uno degli epicentri della catastrofe ligure, da lungo tempo soggetto a smottamenti e frane. Terrorizzati dalla prospettiva della solita nomina politica, gli eroici ambientalisti della zona indicavano come il nome del professor Piero Donati, nato e cresciuto in quei luoghi, storico dell’arte ed ex funzionario della Sovrintendenza ai Beni Storico Artistici della Liguria di Levante, da sempre in prima fila nella difesa e nella valorizzazione di questo territorio bellissimo e difficile, benché non in quota ad alcun partito.

Facevano bene a preoccuparsi: come al solito, il nome uscito dalla concertazione tra i politici locali è stato quello di Francesco Pisani, secondo le associazioni ambientaliste “una delle scelte più sbagliate che si potessero operare… nel suo iter Amministrativo come Sindaco di Ameglia prima, e poi come Presidente di Ameglia Servizi, e tuttora come Assessore all’Urbanistica dello stesso Comune, ha dato prova di essere soggetto dalla scarsissima sensibilità ambientale”. Ma evidentemente a Pisani andava trovata una collocazione. Chi campa di politica pretende di continuare a camparci ad libitum.

Regione, provincia e buona parte dei comuni dello spezzino sono governati da giunte rosse. In particolare da un Pd dall’identità cementizia e speculatrice, che in quel meraviglioso territorio oggi devastato progetta di costruire una megadarsena artificiale da mille posti barca circondata da migliaia di metri cubi di villette a schiera, alberghi e via dicendo, uno degli ecomostri più ecomostri che si possano immaginare (progetto Marinella: vedi http://blog.leiweb.it/marinaterragni/2009/07/18/la-rivoluzione-del-buon-senso/). Così il fiume Magra avrà più barche da trascinare alla deriva, alla prossima piena. Sono anni che strilllo, e non smetterò di strillare.

La nomina dei presidenti dei Parchi tocca al Governatore Claudio Burlando. La terribile lezione di questi giorni porti consiglio. In quei posti ci vuole gente competente e innamorata dell’ambiente, esperta di dissesto idrogeologico, malattia gravissima del nostro territorio, e capace di individuare soluzioni efficaci in una situazione in cui le risorse pubbliche scarseggiano.
Chi pretende di vivere di (cattiva) politica potrebbe anche considerare l’ipotesi di andare a lavorare, come facciamo tutti. E il Pd ligure farebbe bene a intraprendere una seria riflessione.

domenica 30 ottobre 2011

L'edificazione selvaggia che erode il nostro futuro

di Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa, 10 ottobre 2011

Qualcosa si muove, anche nelle pubbliche amministrazioni, contro il consumo di suolo.

Ogni giorno in Italia vengono cementificati 130 ettari di terreno fertile. Sviluppo necessario? Non sempre, visto il gran numero di aree dismesse destinate a restare inutilizzate. Ma allora perché le misure a salvaguardia del suolo continuano a incontrare tante ostilità?
La Provincia di Torino ha appena approvato un piano di governo del territorio che introduce per la prima volta, all’articolo 1 e come principio cogente per i Comuni, «il contenimento del consumo di suolo». E dunque: stop alle edificazioni indiscriminate su aree libere, riuso di quelle già compromesse. Una rivoluzione, in un territorio in cui le nuove costruzioni in quindici anni hanno occupato un’area vasta quasi quanto Torino, mentre la popolazione rimaneva invariata. La frantumazione dei nuclei familiari (il 53% ha meno di tre componenti), che aumenta la domanda di nuovi alloggi, giustifica solo in parte il fenomeno. Infatti nell’ultimo decennio in Italia sono state costruite 4 milioni di case, ma ce ne sono 5,2 milioni vuote solo nelle grandi città.

«Il consumo di suolo è la grande emergenza del nostro Paese», spiega il presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta. «Io non sono un talebano, ma non si può più consumare il futuro». In Italia si cementificano ogni giorno circa 130 ettari di suoli fertili. Si tratta di una stima, perché lo Stato non si è mai occupato del problema e ogni Regione fa a modo suo (solo cinque hanno banche dati), quindi ci si affida ai dossier di associazioni ambientaliste e professionali o a studiosi appassionati tra cui Andrea Arcidiacono, Paolo Berdini, Vezio De Lucia, Georg Josef Frisch, Luca Mercalli, Paolo Pileri, Edoardo Salzano, Salvatore Settis, Tiziano Tempesta.

Dal 2000, con la possibilità di spendere gli oneri urbanistici liberamente, è stata data ai Comuni la licenza di svendere il territorio: con gli incassi si tamponano le falle nei bilanci. Altri Paesi hanno preso sul serio la faccenda. La Germania si è ripromessa di dimezzare i 60 ettari consumati ogni giorno. La prima legge in tal senso fu promossa negli Anni 80 da Angela Merkel, all’epoca ministro dell’Ambiente. Inoltre ha stanziato 22 milioni di euro per ricerche, mentre in Italia l’ultima finanziata con denaro pubblico risale agli anni ‘80. In Gran Bretagna, ogni anno il premier stila un documento sul suolo consumato: quanto, come e perché, ettaro per ettaro, considerando che la legge obbliga a costruire per il 60 per cento su «brownfield sites» (aree già edificate).

In Italia il ministero dell’Ambiente non ha nemmeno un osservatorio. Il suolo è prezioso per diverse ragioni: garanzia di sovranità alimentare, come dimostra l’accaparramento delle terre a opera delle economie emergenti; antidoto al dissesto idrogeologico, in un Paese a rischio per due terzi; serbatoio di anidride carbonica; formidabile riciclatore di rifiuti. «Insomma il suolo è il fegato dell’ecosistema terra», sintetizza l’agronomo Antonio Di Gennaro, autore del libretto «La terra lasciata» (Clean Edizioni). Non solo. La pellicola di suolo formatasi in processi millenari si distrugge facilmente e in modo irreversibile.

A metà del secolo scorso, l’Italia aveva il massimo della superficie coltivata. Poi è cominciata l’edificazione di massa, che negli ultimi decenni si è concentrata sul 20 per cento di territorio pianeggiante, cioè più fertile e delicato. Contemporaneamente, l’abbandono della montagna causava un aumento dei boschi per 80 mila ettari. Notizia solo apparentemente positiva: la montagna senza manutenzione rovescia acqua sulla pianura inflazionata. Seguono disastri. Che fare? Negli ultimi anni, qualcosa si è mosso: dal piano regolatore di Napoli, elaborato ai tempi della prima giunta Bassolino dai «Ragazzi del piano» (titolo di un libro dell’urbanista Vezio De Lucia, Donzelli) a quello della Provincia di Foggia, firmato da Edoardo Salzano, fondatore del sito web eddyburg.

In Lombardia, che ha il record di 15 ettari consumati ogni giorno, Domenico Finiguerra, giovane sindaco della minuscola Cassinetta di Lugagnano, è diventato portabandiera dell’urbanistica a consumo zero di suolo. Per ovviare agli incassi ridotti, ha creato un business dei matrimoni attirando turisti fin dalla Russia: dopo i primi contrasti, è stato rieletto a furor di popolo e ora gira l’Italia a raccontare la sua esperienza. Successo inaspettato ha ottenuto Nicola Dall’Olio, autore del documentario fai-da-te «Il suolo minacciato» sulla pianura padana sepolta dai capannoni vuoti. A Milano la ricerca «Spazi aperti», promossa dalla Fondazione Cariplo e realizzata dal Politecnico, ha monitorato la corona di comuni intorno all’area dell’Expo: in soli otto anni più di mille ettari di campi, prati e boschi sono stati persi «con il rischio che gli appetiti sollecitati dal grande evento spazzino via gli ultimi spazi liberi».

Due anni di lavoro e settemila fotografie sono diventati una mostra alla Triennale con 5 mila visitatori in due settimane. Movimenti e comitati si moltiplicano in tutta Italia e due mesi fa Slow Food ha lanciato un appello con il network «Stop al consumo di suolo», proponendo una moratoria per legge sulle aree non edificate. Proprio quello che ha deciso di fare la Provincia di Torino. Per lunghi anni (e in molte parti d’Italia ancora oggi) questi piani provinciali sono serviti solo a elargire laute consulenze, producendo libroni di vaghi e inattuati precetti. In realtà, possono essere importanti.

La Provincia di Torino lo ha elaborato proprio nel pieno della polemica sul nuovo megastore Ikea. Lo stesso Saitta aveva bocciato il progetto della multinazionale del mobile low cost: un nuovo megastore su una zona agricola nell’hinterland torinese. Saitta aveva obiettato: con tante zone industriali dismesse, non è il caso di compromettere un’area libera. L’azienda aveva già da tempo opzionato i suoli, il cui valore nel frattempo si era moltiplicato da 4 a 16 milioni di euro, impuntandosi: o lì o niente investimento. E così è nato un braccio di ferro. Lo scontro ideologico sull’Ikea avrebbe potuto mandare all’aria il piano del territorio, che negli stessi giorni giungeva a conclusione di un lungo iter.

Invece è accaduto il contrario: è stato approvato rapidamente sia in Provincia (maggioranza di centrosinistra) che in Regione (centrodestra) e condiviso con gran parte dei 315 sindaci del territorio. Ora Ikea sta trattando con le istituzioni una diversa collocazione del megastore, su un’area industriale dismessa. Se l’accordo andasse in porto, un capannone abbandonato sarebbe riutilizzato e oltre 150 mila metri quadri di terreno agricolo (un’area pari a venti campi di calcio) sarebbero salvi.

sabato 1 ottobre 2011

Piano di governo del territorio e sviluppo demografico: il T.A.R. Brescia censura la previsione sproporzionata rispetto al dato storico

Finalmente una buona, anzi buonissima notizia !

è la prima sentenza (anche se solo di un T.A.R.) che annulla un Piano per una previsione sconsiderata di aumento della popolazione esistente, speriamo ne arrivino altre, visto che moltissimi Piani prevedono teorici e non giustificati aumenti degli abitanti e conseguentemente delle aree edificabili.

Alice Galbiati 8 luglio 2011


Dopo aver ribadito che la legittimazione ad impugnare gli atti di adozione e approvazione dello strumento urbanistico generale non può essere riconosciuta ai cittadini per il solo fatto di risiedere nel Comune, ma debba esser necessariamente fondata da un diretto ed immediato pregiudizio subito, i Giudici di Brescia si sono concentrati sulle contestate previsioni di sviluppo del territorio.

Pur riconoscendo l'ampia discrezionalità delle amministrazioni locali nelle scelte operate in sede di pianificazione urbanistica, il T.A.R. Brescia censura l'abnormità del mero dato numerico dell'aumento del 30% della popolazione attuale, evidenziandone la consistenza anche in valore assoluto ed in rapporto all'evoluzione demografica, sostanzialmente stabile, del Comune negli anni.

Limitandosi a sottolineare l'assenza di giustificazioni all'interno dei documenti di piano di tale scelta, i Giudici bresciani hanno quindi annullato il Piano del Comune di Soncino, invitando il Comune a dare successivamente debito conto delle proprie stime in sede di riadozione

I fondamentalisti dell'economia

L'ABISSO FRA POVERI E RICCHI


di Zygmunt Bauman, La repubblica 21 settembre 20110

All'epoca dell'Illuminismo, di Bacone, Cartesio o Hegel, in nessun luogo della terra il livello di vita era più che doppio rispetto a quello delle aree più povere. Oggi il paese più ricco, il Qatar, vanta un reddito pro capite 428 volte maggiore di quello del paese più povero, lo Zimbabwe. E si tratta, non dimentichiamolo, di paragoni tra valori medi, che ricordano la proverbiale statistica dei due polli.

Il tenace persistere della povertà su un pianeta travagliato dal fondamentalismo della crescita economica è più che sufficiente a costringere le persone ragionevoli a fare una pausa di riflessione sulle vittime collaterali dell'"andamento delle operazioni".
L'abisso sempre più profondo che separa chi è povero e senza prospettive dal mondo opulento, ottimista e rumoroso - un abisso già oggi superabile solo dagli arrampicatori più energici e privi di scrupoli - è un'altra evidente ragione di grande preoccupazione. Come avvertono gli autori dell'articolo citato, se l'armamentario sempre più raro, scarso e inaccessibile che occorre per sopravvivere e condurre una vita accettabile diverrà oggetto di uno scontro all'ultimo sangue tra chi ne è abbondantemente provvisto e gli indigenti abbandonati a se stessi, la principale vittima della crescente disuguaglianza sarà la democrazia. Ma c'è anche un'altra ragione di allarme, non meno grave. I crescenti livelli di opulenza si traducono in crescenti livelli di consumo; del resto, arricchirsi è un valore tanto desiderato solo in quanto aiuta a migliorare la qualità della vita, e "migliorare la vita" (o almeno renderla un po' meno insoddisfacente) significa, nel gergo degli adepti della chiesa della crescita economica, ormai diffusa su tutto il pianeta, "consumare di più". I seguaci di questo credo fondamentalista sono convinti che tutte le strade della redenzione, della salvezza, della grazia divina e secolare e della felicità (sia immediata che eterna) passino per i negozi. E più si riempiono gli scaffali dei negozi che attendono di essere svuotati dai cercatori di felicità, più si svuota la Terra, l'unico contenitore/produttore delle risorse (materie prime ed energia) che occorrono per riempire nuovamente i negozi: una verità confermata e ribadita quotidianamente dalla scienza, ma (secondo uno studio recente) recisamente negata nel 53 per cento degli spazi dedicati al tema della "sostenibilità" dalla stampa americana, e trascurata o taciuta negli altri casi.
Quello che viene ignorato, in questo silenzio assordante che ottenebra e deresponsabilizza, è l'avvertimento lanciato due anni fa da Tim Jackson nel libro Prosperità senza crescita: entro la fine di questo secolo "i nostri figli e nipoti dovranno sopravvivere in un ambiente dal clima ostile e povero di risorse, tra distruzione degli habitat, decimazione delle specie, scarsità di cibo, migrazioni di massa e inevitabili guerre". Il nostro consumo, alimentato dal debito e alacremente istigato/ assistito/amplificato dalle autorità costituite, "è insostenibile dal punto di vista ecologico, problematico da quello sociale e instabile da quello economico". Un'altra delle osservazioni raggelanti di Jackson è che in uno scenario sociale come il nostro, in cui un quinto della popolazione mondiale gode del 74 per cento del reddito annuale di tutto il pianeta, mentre il quinto più povero del mondo deve accontentarsi del 2 per cento, la diffusa tendenza a giustificare le devastazioni provocate dalle politiche di sviluppo economico richiamandosi alla nobile esigenza di superare la povertà non è altro che un atto di ipocrisia e un'offesa alla ragione: e anche questa osservazione è stata pressoché universalmente ignorata dai canali d'informazione più popolari (ed efficaci), o nel migliore dei casi è stata relegata alle pagine, e fasce orarie, notoriamente dedicate a ospitare e dare spazio a voci abituate e rassegnate a predicare nel deserto.
Già nel 1990, una ventina d'anni prima del volume di Jackson, in Governare i beni collettivi Elinor Ostrom aveva avvertito che la convinzione propagandata senza sosta secondo cui le persone sono naturalmente portate a ricercare profitti di breve termine e ad agire in base al principio "ognun per sé e Dio per tutti"non regge alla prova dei fatti. La conclusione dello studio di Ostrom sulle imprese locali che operano su piccola scala è molto diversa: nell'ambito di una comunità le persone tendono a prendere decisioni che non mirano solo al profitto. È tempo di chiedersi: quelle forme di "vita in comunità" che la maggior parte di noi conosce unicamente attraverso le ricerche etnografiche sulle poche nicchie oggi rimaste da epoche passate, "superate e arretrate", sono davvero qualco-sa di irrevocabilmente concluso? O, forse, sta per emergere la verità di una visione alternativa della storia (e con essa di una concezione alternativa del "progresso"): che cioè la rincorsa alla felicità è solo un episodio, e non un balzo in avanti irreversibile e irrevocabile, ed è stata/è/si rivelerà, sul piano pratico, una semplice deviazione una tantum, intrinsecamente e inevitabilmente temporanea?

(Questo brano è un estratto dalla nuova prefazione di Bauman alla nuova edizione di Modernità liquidità in uscita per Laterza)