domenica 22 agosto 2010

La Spezia, maxi progetti ediizi contro il "bene comune"

fonte: La Repubblica di Genova , 21/8/2010, pag V

Silvano D'Alto
Renato Raggi
Architetti

Tre progetti di maxi-interventi edilizi stanno calando – con procedure di approvazione pubblica in fase avanzata – in luoghi di eccezionale valore ambientale, storico e/o naturalistico – sul territorio di La Spezia -Val di Magra. Sono:

1) la urbanizzazione della Calata Paita, in procinto di liberarsi da ogni ingombro portuale;

2) la Variante di Marinella–Fiumaretta al Piano del Parco Naturale Regionale Montemarcello-Magra (polo nautico);

3) la Variante di Via Muccini e Piazza Terzi, a Sarzana, con forti interventi edilizi ai margini del centro storico;

Si tratta di risorse di valore inestimabile, uniche, non riproducibili. Una corretta pianificazione avrebbe dovuto difenderle e istituirle come “beni comuni”: intesi come luoghi in cui sperimentare un nuovo incontro tra economia e comunità, per esprimere spazi e valori che esaltino il pubblico interesse, la prevalenza dei valori d’uso su quelli di scambio, la ricerca di nuove misure e soluzioni del rapporto pubblico-privato, il senso dell’eguaglianza, come valore fondante della nostra storia urbana. Gli interventi segnalati percorrono invece una direzione diametralmente opposta: ci troviamo di fronte alla dominante affermazione della sfera privata nella assenza di una visione più ampia e costruttiva della sfera pubblica.

Quale il senso della città, ci si chiede come domanda radicale, che ci trasmettono questi tre progetti? I rendering delle proposte rivelano con chiarezza le intenzioni e i fini degli interventi che le parole e i numeri di rito facilmente tradiscono.

Calata Paita . Da un progetto vincitore di concorso, che prefigurava una macrostruttura densa di promesse di contenuti e di linguaggio – “modello” Valencia, si è detto, ma ogni realtà urbana è un mondo originale e irripetibile – si è pervenuti ad un progetto fortemente riduttivo, irriconoscibile rispetto all’originale di concorso: in cui è difficile cogliere un’idea urbana e urbanistica nuova.

Il progetto si configura come previsione di un blocco di macroedifici lineari – disposti perpendicolarmente alla linea di costa – e di due grattacieli prospicienti al mare. Dei grandi spazi pubblici o di uso pubblico non c’è traccia simbolicamente significativa nel progetto quale appare nel rendering della vista d’insieme. Esiste una fondamentale discrasia tra progetto e intenzioni dichiarate. Il linguaggio del progetto è quello della lottizzazione.

Il concetto di bene comune e di città avrebbe richiesto di rovesciare i parametri: esaltare gli spazi per le attrezzature di vita sociale e culturale, collettiva, da immergere in un grande parco pubblico che avesse attrattive a livello europeo. Un’area interpretata come organismo dinamico, variabile, che si aggiorna e si rinnova nel tempo ed esprime pienamente le attese e i sogni della nostra epoca Niente residenze, ovviamente. Si dice di creare occupazione e turismo con tali interventi di pronta realizzazione. Ma l’idea che nasce è di un turismo passivo: ricettivo, non produttivo di una concezione dinamica e creativa.

La nuova edificazione a blocchi pesanti separa, non unisce, la città al mare. Perché, per la sua impostazione ripetitiva, replica l’edificato urbano esistente .
 
La Variante di Marinella al Parco Naturale Regionale di Montemarcello-Magra crea nell’estuario del fiume Magra (non si tratta di area unica e delicatissima?) un enclave di estrema privatizzazione: darsene per 830 posti barca con massiccia edificazione al contorno.
A che serve il Piano di un Parco – cioè la regia della sfera pubblica – se i suoi valori sono mortificati da una Variante che rovescia i valori e massimizza gli interessi e gli affari di operatori privati?

Nella variante, darsene, fiume e campagna sono mondi che si ignorano reciprocamente. Il “Porto con funzione turistica e da diporto” previsto dalle norme del Piano, diviene la servostruttura per l’affare immobiliare.
 
La Variante di via Muccini e Piazza Terzi, a Sarzana, urbanizza con eccessiva volumetria una periferia che chiedeva solo di essere interpretata come una discreta e misurata area di accesso ai valori del centro storico. Il vecchio piano regolatore aveva bisogno di essere rivisitato alla luce delle nuove prospettive culturali relative alla ‘sostenibilità’, al recupero dell’esistente, ma soprattutto ad una idea di città che, nel fragile equilibrio di valori della storia sarzanese, legasse passato presente e futuro. Invece la logica immobiliare ha dominato preoccupazioni e prospettive. La libera e appassionata partecipazione dei cittadini è ignorata e umiliata.

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