di Antonio Fraschilla, La repubblica 16/11/2011
Parzialissimo elenco (forse solo l’inizio) di un catalogo di affari che sviluppano la distruzione dell’ex Belpaese.
Le ruspe di colossi delle costruzioni e dell´impiantistica, magnati del petrolio e imprenditori locali hanno acceso i motori per prendersi le rive del Belpaese - La parola magica che dà il via libera a nuovo cemento entro i 150 metri dalla battigia è waterfront, declinata in sigle come "rifacimento del litorale" - A Pozzuoli si gioca la partita edilizia più importante del Mezzogiorno, a Ostia in programma beauty farm e ristoranti, a Palermo approvata l´ennesima struttura
Nella Liguria devastata dall´alluvione c´è chi è pronto a mettere altro cemento su una costa che non regge più all´urto dell´acqua che scende dai monti. In Sicilia invece il cemento si vuole depositare direttamente davanti al mare, nel cuore di un sito Unesco. Ecco le mani sulle coste d´Italia. Le ruspe di colossi delle costruzioni e dell´impiantistica, di magnati del petrolio o di imprenditori sconosciuti, hanno già acceso i motori. Vogliono prendersi le rive del Belpaese, che in teoria - cioè secondo la legge - sono inedificabili. Per metterci palazzoni, alberghi, ristoranti e centri commerciali. La parola magica che consente di aggirare il divieto assoluto di costruire entro i 150 metri dalla battigia è "waterfront", declinata in sigle del tipo «rifacimento della costa» o «nuovo porto turistico». Da Santa Margherita Ligure a Siracusa, passando per Marina di Massa, Cecina, Fiumicino, Napoli, Brindisi o Lipari, ecco i grandi affari in riva al mare. In campo imprese e società pronte a gettarsi a capofitto su un business che solo di opere edilizie vale al momento 1,5 miliardi di euro, che si moltiplicano a dismisura se si aggiungono gli affari commerciali collaterali una volta ultimate le costruzioni. Per cercare di arginare quelle che gli ambientalisti definiscono «le mille Val di Susa in riva al mare» si battono giornalmente associazioni come Italia Nostra, Wwf e Legambiente, e sparuti comitati di cittadini spesso lasciati soli dalla politica locale a fronteggiare poteri forti, anzi fortissimi, visto che in tempi record riescono a farsi approvare varianti urbanistiche su misura come non accadeva nemmeno nella Palermo o nella Napoli del sacco edilizio. Ma quali sono i progetti in via di approvazione o già in fase di realizzazione? Chi c´è dietro le società private interessate a questo grande business?
Hotel dietro al porto
Il viaggio nei waterfront d´Italia parte dalla Liguria, da Santa Margherita. Qui la società Santa Benessere, guidata da Gianantonio Bandera, imprenditore ligure noto per il rifacimento del teatro Alcione e per il progetto del contestato porticciolo a Punta Vagno, ha presentato al Comune un progetto da 70 milioni di euro e la richiesta di concessione demaniale dell´area portuale per i prossimi 90 anni. Cosa vuole realizzare? Un centro di talassoterapia da 30 mila presenze annue e l´allungamento del molo e della diga foranea per chiudere il golfo e consentire anche a megayacht di 50 metri di poter attraccare a Santa Margherita. Dal Fai ad archistar come Renzo Piano, in tanti contestano il piano della Santa Benessere, che dietro di sé ha soci e finanziatori più o meno occulti. L´azionista di maggioranza della società che ha presentato il progetto è un trust inglese, la Rochester holding, che a sua volta ha tra i finanziatori Gabriele Volpi, magnate diventato miliardario con il petrolio nigeriano e che oggi guida un gruppo da 1,4 miliardi di fatturato con proprietà che vanno dalla logistica petrolifera alla pallanuoto e al calcio: è proprietario della Pro Recco e dello Spezia. I soldi insomma ci sono. Lui, Volpi, prende le distanze dicendo di non sapere nulla di questo progetto e di avere investito «soltanto nel trust inglese». In realtà nel cda della Santa Benessere siedono Bandera e Andrea Corradino, entrambi soci dello Spezia calcio. Entro lo scorso novembre il Comune ligure aveva dato tempo per presentare osservazioni al piano.
Pochi chilometri più a Sud di Santa Margherita altre ruspe e altri costruttori si stanno muovendo per realizzare alberghi sul mare laddove sulla carta non si potrebbe piazzare nemmeno un palo della luce. Tra Marina di Carrara e Marina di Massa il gruppo di Francesco Caltagirone Bellavista vuole costruire un porto turistico da 800 posti. Peccato però che tra le strutture a supporto metta anche «40 appartamenti, uno yacht club e un residence a tre piani». «E perfino una torre di otto piani e una piazza da 6000 metri quadrati», dice Antonio Delle Mura, presidente di Italia Nostra Toscana. Le amministrazioni comunali guardano con molto interesse all´iniziativa, in ballo ci sono investimenti per 250 milioni di euro e lavoro per molti concittadini. «Nessuno pensa alle conseguenze ambientali e all´impatto devastante per quest´area, con il rischio di erosione della spiaggia e occultamento della vista a mare: tutti sembrano essersi dimenticati, inoltre, che il progetto presentato ricalca una iniziativa del 2001 presentata dall´Autorità portuale e bocciata allora dal ministero dell´Ambiente», aggiunge Delle Mura.
Italia Nostra in Toscana insieme al Wwf è impegnata però anche su un altro fronte, quello di Cecina. In campo c´è una cordata d´imprenditori locali raccolta nel Club nautico che vuole rivoltare come un calzino il vecchio porticciolo, allargandone la capienza a mille posti barca. Fin qui nulla di strano. Se non fosse che accanto al porto si vorrebbe realizzare un parcheggio da 2000 posti auto, 400 box attrezzati, 40 esercizi commerciali, un hotel a 4 stelle, un centro benessere e 80 appartamenti. E, ciliegina sulla torta, un padiglione esposizioni per la nautica e un mercatino del pesce, con ristorante ed eliporto. «Cosa c´entra tutto questo con un porto turistico?», si chiede la professoressa Roberta De Monticelli, che ha denunciato quanto sta accadendo a Cecina alla Commissione Europea: «Spostare una foce e realizzare un pennello a mare che cambierà le correnti, il tutto in una riserva dello Stato, insomma è davvero incredibile», aggiunge la De Monticelli. Ma quali sono i meccanismi per aggirare il divieto di costruire sulla costa? In base a quali leggi si può andare oltre i piani regolatori vigenti?
Bonifiche di facciata
È certamente a una manciata di chilometri da Napoli che si sta giocando una delle partite edilizie più importanti del Mezzogiorno. E precisamente a Pozzuoli nell´ex area industriale Sofer-Ansaldo, oggi di proprietà della Waterfront flegreo: società, questa, del gruppo dell´ingegnere Livio Cosenza, settantenne, grande elettore del sindaco di Pozzuoli Agostino Magliulo, padre dell´onorevole Giulia e di Francesco, 35 anni, amministratore delegato della Watefront. Nel board della società in questione siede inoltre Carlo Bianco, consigliere d´amministrazione della Pirelli Re. La partita inizia quando il Comune nel 2007 affida all´architetto Peter Eisenman un piano di riqualificazione dell´area. Il piano viene consegnato all´amministrazione, che a sua volta firma subito un protocollo d´intesa con la Waterfront. Cosa prevede il mega progetto di Eisenman? Semplice, la realizzazione di un polo turistico alberghiero con annesso centro commerciale, un polo per la nautica da diporto con tanto di accademia della vela e un terzo polo definito genericamente «polifunzionale». La Waterfront affida subito la progettazione esecutiva a uno studio locale, nel quale lavora tra gli altri la figlia del sindaco di Pozzuoli. Il Cipe, nel frattempo, stanzia 40 milioni di euro per la bretella che collegherà l´area all´autostrada. Le ruspe sono pronte, visto che le carte ci sono tutte e sono in regola. In arrivo 600 milioni di euro d´investimenti, con tanto di anticipo già approvato da Intesa Sanpaolo.
Per il professore d´economia dell´Università di Napoli Ugo Marani si tratta «di un bel progetto che sarà trasformato in scempio» e per questo «va fermato». L´opposizione di Pozzuoli, dal Pd a Rifondazione protesta, ma al momento l´iter burocratico è già concluso e c´è poco da fare. Altri affari sono in corso nelle grandi città. Sul litorale romano, a esempio, il sindaco Gianni Alemanno ha in mente progetti in grande stile: attraverso l´Eur spa punta a stravolgere il waterfront di Ostia, costruendo beauty farm, alberghi, centri commerciali, ristoranti e perfino una scuola di surf, il tutto con la scusa di raddoppiare il porto attuale. A Palermo, invece, il consiglio comunale ha appena approvato il nuovo piano regolatore del porto, che prevede la realizzazione di un ennesimo porticciolo turistico nella zona di Sant´Erasmo, a due passi dal centro storico della città e nonostante vi siano già altri tre porti turistici in funzione sul lungomare palermitano. Nel capoluogo siciliano gli ambientalisti da anni contestano la riqualificazione di Sant´Erasmo, che sarà affidata a una società privata che gestirà il porticciolo per i prossimi trent´anni.
Piattaforme nel sito Unesco
Le ruspe e le betoniere sono invece già in azione nel cuore di un luogo protetto dall´Unesco: Ortigia, centro storico di Siracusa che si affaccia sul bellissimo golfo aretuseo intriso di storia e leggende greche. Qui il gruppo Acqua Pia Marcia del costruttore Francesco Caltagirone Bellavista ha iniziato i lavori d´interramento per il nuovo porto turistico che sarà chiamato Marina di Archimede. Il progetto da 80 milioni di euro, presentato nel 2007 da una società locale, approvato dal Comune a tempo di record e acquistato in corsa dal gruppo Caltagirone, prevede lavori su un´area di 147 mila metri quadrati, 50 mila dei quali in riva al mare: saranno realizzati 507 posti barca, ma anche «uffici, negozi ristorante, caffetteria, centro benessere e un albergo», dice il deputato regionale del Pd, Roberto De Benedictis. Ma al Comune è arrivata una seconda richiesta, questa volta da parte di una società d´imprenditori locali, la Spero srl, che vuole realizzare un altro porto a fianco di quello di Caltagirone. La Spero vuole investire 100 milioni di euro per costruire un molo da 430 posti barca e sul mare una piattaforma - grande quanto sette campi di calcio - da rendere edificabile per mettere in piedi alberghi, centri commerciali, uffici pubblici, ristoranti, tabaccherie e anche una libreria, per dare un tocco di cultura a un´operazione che, come sostiene il deputato Pd Bruno Marziano, «realizzerebbe il sogno di qualsiasi costruttore: cementificare il mare». Il Comune ha già approvato il progetto e l´ha inviato alla Regione per l´autorizzazione integrata ambientale. «Ci si chiede però come sia possibile costruire alberghi in riva al mare o sul mare, in un sito protetto dall´Unesco. Sarebbe una follia», dice ancora De Benedictis. Intanto Legambiente annuncia battaglia: «Difenderemo Ortigia da queste speculazioni», giura il presidente regionale Domenico Fontana. Ma tutti questi nuovi posti barca sono davvero necessari? Non c´è un altro modo per aumentare l´offerta?
Riqualificare i porti abbandonati
Santa Margherita, Massa Carrara, Napoli, Siracusa, sono soltanto la punta di un iceberg fatto di speculazioni sulle coste in nome dell´esigenza di nuovi posti barca che servono per attrarre turisti ma anche per costruire in zone inedificabili. Italia Nostra ha in corso una ventina di battaglie per bloccare la costruzione di nuovi porti, come quelli di Cecina, San Vincenzo e Talamone in Toscana, o Fiumicino, Anzio e Civitavecchia nel Lazio e, ancora, risalendo, quelli di Sarzana e Ventimiglia in Liguria. Soltanto in Sicilia sono già stati varati, o stanno per essere approvati, progetti di costruzione di ben 12 porti, da Menfi a Licata, da Marsala a Capo d´Orlando e Lipari, benedetti da 24 milioni di euro dell´Unione europea. Soldi pubblici per porti che saranno gestiti da privati scelti spesso senza alcuna procedura di evidenza pubblica. «Il territorio costiero è evidentemente sotto attacco», dice la presidente di Italia Nostra, Alessandra Mottola Molfino. Secondo Sebastiano Venneri, presidente nazionale di Legambiente, si tratta di puri e semplici affari perché basterebbe riqualificare i vecchi porti per ottenere migliaia di nuovi posti barca senza ulteriori cementificazioni: «Abbiamo appena completato uno studio che mette nero su bianco come sia possibile ottenere ben 39.100 nuovi posti barca semplicemente riqualificando i porti abbandonati - dice Venneri - circa 13 mila posti sono attivabili immediatamente con piccolissime opere di restauro, 9 mila posti in tempi brevi e altri 15.800 con lavori che non vanno oltre i 24 mesi». Ma in questo caso il business sarebbe molto meno appetibile. Almeno per i signori del cemento.
domenica 18 dicembre 2011
Serve un Keynes per salvare il Belpaese
di Salvatore Settis, La Repubblica, 15/12/2011
Ambiente, paesaggio e beni culturali in tempo di crisi: a governo tecnico, qualche appunto tecnico.
Tre temi sui quali misurare la volontà del governo Monti di abbandonare l’ideologia e la prassi dello “sviluppo” devastante.
Ambiente, paesaggio e beni culturali in tempo di crisi: a governo tecnico, qualche appunto tecnico.
Primo: ancora più fragile dell´economia italiana è il suolo della Penisola. Sono state censite almeno mezzo milione di frane, che interessano poco meno del 10% del nostro territorio. Non si tratta solo di morfologia naturale: il degrado è velocizzato dall´abbandono delle coltivazioni e da incendi boschivi spesso dolosi. Ma anche dalla cementificazione (infrastrutture e insediamenti abitativi) che sigillando i suoli accresce la probabilità di frane e alluvioni e ne rende più gravi gli effetti, dall´incuria per il regime delle acque, che riduce le risorse idriche e genera disastrose esondazioni. Queste traumatiche alterazioni del suolo comportano enormi danni (almeno 5 miliardi di euro negli ultimi sette anni, secondo l´Ispra) e continue perdite di vite umane. Molto vulnerabili anche le nostre coste, quasi 5.000 chilometri già in continua erosione e a rischio allagamento per almeno il 24% (dati Ispra), eppure ancora devastate dalla proliferazione di porti turistici, a celebrare i fasti di una prosperità che non c´è più. Eppure, mentre il degrado del territorio avanza con ritmo spietato, sentiamo ripetere la favola di uno "sviluppo" economico basato sul moltiplicarsi di autostrade e ferrovie (anche se inutili) e sul rilancio dell´edilizia (mediante condoni, sanatorie, "piani casa"). Ma se così fosse, perché questo tipo di sviluppo ha prodotto la crisi profonda che attraversiamo? Dopo la frana di Giampilieri presso Messina, che nell´ottobre 2009 uccise quaranta italiani, Bertolaso ne attribuì la colpa all´abusivismo edilizio, ma si affrettò a dichiarare che per consolidare quel tratto di costa mancano le risorse, «due o tre milardi di euro». Due giorni dopo, il ministro Prestigiacomo dichiarò che «il ponte sullo Stretto non è alternativo alla protezione dell´ambiente», e il ministro Matteoli disse che i lavori per il ponte devono continuare. Questa è l´idea dello "sviluppo sostenibile" che ci è stata fino a ieri propinata: non un centesimo per consolidare le coste dello Stretto, "uno sfasciume pendulo sul mare" secondo la celebre definizione di Giustino Fortunato, sì invece a una pioggia di miliardi per costruire su quelle frane un´opera faraonica (la definizione è del presidente Napolitano). Questo governo avrà la forza di mettere in discussione le favolette che ci sono state ammannite? Vorrà studiare caso per caso, con esperti terzi e non legati alle banche e alle imprese appaltatrici, la sostenibilità reale della Tav in Val di Susa e altrove? O vorrà allinearsi all´elegante dichiarazione dell´ad di Trenitalia, Moretti, secondo cui a sollevare dubbi contro la TAV sarebbero solo «quattro fessi»?
Secondo: il paesaggio italiano è fra i più devastati d´Europa. A fronte di un incremento demografico nullo, abbiamo il più alto consumo di suolo d´Europa. Incentivi, sanatorie e condoni hanno seminato per il Paese migliaia di capannoni "industriali" dove non si produce nulla e nulla viene immagazzinato (ma che "producono" vantaggi fiscali per chi li fa). Almeno due milioni sono gli appartamenti invenduti (centomila solo a Roma e dintorni), eppure si continua a costruire. Città preziose come Bologna vedono svuotarsi il centro storico, mentre si favoleggia di grattacieli, imitando gli sceicchi del Golfo Persico in una provinciale corsa a una "modernità" già stantia. La retorica delle energie rinnovabili aggrava la situazione: l´Italia è il Paese europeo con più incentivi a chi installa eolico e pannelli solari, mentre non spende quasi niente in ricerca per massimizzarne gli effetti e ridurne l´impatto. Se davvero credessimo nelle rinnovabili, dovremmo fare esattamente il contrario. Perché non dare, invece, incentivi a chi riusa edifici abbandonati, anziché costruirne di nuovi? O a chi salva o incrementa l´uso agricolo dei suoli? Cura del suolo e riuso degli edifici abbandonati potrebbero innescare un processo virtuoso, assorbendo manodopera di un´edilizia comunque in crisi e allo sbando.
Terzo: da quando il governo Berlusconi tagliò quasi un miliardo e mezzo al già languente bilancio del ministero dei Beni culturali (luglio 2008), le strutture pubbliche della tutela hanno visto un vertiginoso ridursi di funzionalità e capacità d´intervento. Mentre cala ogni giorno il numero degli addetti, per pensionamenti e assenza di turnover, e la loro età media si avvicina ormai ai 60 anni, aumentano sulla carta i loro compiti. Soprintendenti-superman devono reggere due, tre, quattro uffici spostandosi da una città all´altra, e intanto mancano i soldi per telefono, benzina, luce elettrica. Per rimediare, qualcuno ha una soluzione pronta: chiudere le Soprintendenze, accorpando gli ultimi superstiti in uffici regionali senza competenze, senza bilancio, senza poteri. Piccola osservazione tecnica: la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della Nazione, imposta dall´art. 9 della Costituzione, non si può fare se non c´è chi tutela. E nessuno al mondo ha mai inventato un sistema migliore delle Soprintendenze territoriali italiane, gloriosa istituzione che ha un secolo e deve essere rinnovata e migliorata, ma non messa in soffitta.
Il governo Monti ha raccolto altissime competenze, a cominciare da quelle del presidente del Consiglio e del ministro dello Sviluppo Passera. Da un governo come questo abbiamo il diritto di aspettarci un´analisi fredda e professionale dei dati, e la capacità laica di dirsi, e di dirci, la verità. È un dato positivo della "manovra" di questi giorni l´assenza della voce "dismissioni del patrimonio pubblico", una fonte d´introiti assai amata da Tremonti. Ed è da augurarsi che il patrimonio culturale e il paesaggio, protetti dalla Costituzione, non vengano mai più messi in vendita. È deludente, invece, che manchi un tentativo minimamente adeguato di combattere l´evasione fiscale: 120 miliardi l´anno di tasse non pagate sono una enorme risorsa economica non sfruttata, anzi generalmente rimossa dalla pubblica attenzione, con sfumature non poi tanto grandi fra centrodestra e centrosinistra. Attingervi potrebbe risparmiarci qualche lacrima sui sacrifici che ci attendono. Sarebbe essenziale per rispondere al sempre attuale invito di Keynes: sconfiggere "l´incubo del contabile", e cioè il pregiudizio secondo cui nulla si può fare, se non comporta frutti economici immediati. «Invece di utilizzare l´immenso incremento delle risorse materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie - scrive Keynes - stiamo creando ghetti e bassifondi; e si ritiene che sia giusto così perché "fruttano", mentre – nell´imbecille linguaggio economicistico - la città delle meraviglie potrebbe "ipotecare il futuro"». Questa «regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa ogni aspetto della vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo» (è ancora Keynes che parla). Il paesaggio, l´ambiente, il patrimonio culturale sono come il sole e le stelle: illuminano e condizionano la nostra vita, corpo e anima. Perciò hanno un ruolo così alto nella Costituzione, dove incarnano l´idea che ne è il cuore: il bene comune e l´utilità sociale, sovraordinati al profitto privato. Paesaggio, ambiente, patrimonio richiedono sapienza tecnica per essere tutelati: ma richiedono anche un´idea d´Italia, un´idea declinata al futuro.
venerdì 9 dicembre 2011
L’alluvione che ha spazzato il sogno del paradiso
di Marco Preve, Blog Trenette e Mattoni
A chi in queste ore, di fronte al tracollo fisico di una delle zone più celebrate al mondo per le sue qualità ambientali, pratica la filosofia del “se non ora quando”, intesa come approfondimento, dibattito ed eventuale denuncia delle possibili cause della disastrosa alluvione, si oppone un’altrettanto agguerrita linea di pensiero: ora onoriamo le vittime, rimbocchiamoci le maniche per ricostruire e dopo sarà il tempo delle polemiche.
Come se la riflessione impedisse l’attività di soccorso e di ricostruzione. E’ una forma di ipocrisia che offende per primi donne e uomini uccisi dal fango. Ed è, a ben vedere, la stessa ipocrisia che in questi anni, dietro l’immagine da cartolina, dietro la griffe del turismo eco compatibile, dietro l’incessante sbarco di vacanzieri americani, colti e disposti a spendere, ha nascosto quel dissolvimento sociale delle Cinque Terre che è all’origine anche dello sfaldamento dei suoi terrazzamenti, della impietosa ribellione dei suoi antichi rivi. E della sua disgregazione sociale, come evidenziano molti osservatori.
Si può dire che l’alluvione che ha spazzato il sogno del paradiso è iniziata un anno fa, quando l’inchiesta giudiziaria sui vertici dell’Ente Parco ha portato a galla un sistema clientelare che, più che alla conservazione dell’ambiente, pensava a quella del potere e, per ottenerlo, era disposto anche a piegare le rigide norme paesistiche ed urbanistiche. E buona parte della popolazione, certo non tutta, questo sistema lo ha condiviso, qualcuno in maniera consapevole, i più per inerzia.
Perché, come ha ben spiegato lo scrittore Maurizio Maggiani, la maggior parte degli abitanti della Cinque Terre da anni aveva fatto una scelta chiara: vivere non più di agricoltura ma di camere affittate. Non è un giudizio ma un dato di fatto. Che comporta una conseguenza: se non si vive più della terra, quella stessa terra non la si cura più come si faceva prima. Ma anche chi amministra e gestisce il territorio sembrava ormai proiettato solo ad espandere quanto più possibile il “contenitore Cinque Terre”. In perfetta contraddizione con lo sviluppo di quel turismo compatibile e rispettoso che rappresentava il progetto iniziale. E così ecco spuntare enormi autosilos, la prima piscina delle Cinque Terre - quella dell’hotel Porto Roca, progettata da un ex Soprintendente e autorizzata perché «di pubblico interesse» -, il progetto di un residence, pure quello con piscina vicino a Corniglia, e ancora una proposta per 30 villette di nuovo a Monterosso. O ancora quell’idea dell’ex presidente Franco Bonanini di costruire una funivia a Riomaggiore per portare in cima al monte Bramapane più turisti possibile.
Come spiega bene Claudio Frigerio, ambientalista: «Qui alle Cinque Terre la speculazione si è solo affacciata e non ha fatto breccia, ma solo perché è arrivata la magistratura a fermarla. E' una mentalità che si era diffusa tra gli abitanti e gli amministratori e alla fine nessuno pensava più alla manutenzione minima dei torrenti - dice Frigerio -. I rivi sono sempre passati in mezzo alle case, prima aperti e poi tombinati, ma un tempo si puliva all'ingresso della copertura per evitare che scoppiassero. Poi si è smesso di farlo e questo è il risultato. Il metodo Bonanini ha arricchito molti ma ha impoverito il territorio».
Ma sarebbe ingiusto parlare di un “metodo” praticato solo dall’ex presidente del Parco. Perché la ancora più impattanti sono state altre scelte compiute nello spezzino. Basti dire che alla foce di quel Magra la cui piena ha devastato e distrutto costringendo all’evacuazione centinaia di persone, c’è in ballo il mega progetto per il porto turistico di Marinella per mille posti barca e migliaia di metri cubi di nuove volumetrie. Oppure nella piana di Brugnato, il paese in cui ha piovuto di più durante il nubifragio e dove il Vara ha esondato, è prossima la posa della prima pietra (rinviata per la devastazione) del contestato outlet intitolato, guarda caso, ShopInn Brugnato Cinque Terre: con un matrimonio tra commercio di massa e turismo culturale che farebbe rizzare i capelli anche ai più accaniti sostenitori delle unioni geneticamente impossibili.
C’è infine un’altra questione che in queste ore merita di essere accennata. Il cronico disinteresse al dibattito - che non fosse di pura accademia - su queste tematiche da parte degli ordini professionali si trasforma nei momenti della tragedia in un fiorire di dichiarazioni. Cito da un’agenzia le parole di Leopoldo Freyrie presidente nazionale degli architetti: «La manutenzione del territorio deve diventare la più grande e indispensabile infrastruttura del Paese per poter abbandonare per sempre la logica dell’emergenza. Se si fosse operato così, non ci troveremmo oggi di fronte alla nuova immane tragedia che ha colpito l’Italia». Qualcuno potrebbe gentilmente chiedere a Freyrie chi ha progettato interventi assai discutibili proprio da punto di vista dello sfruttamento del territorio? Chi li ha magnificati con rendering coloratissimi illustrandoli con al suo fianco costruttori, sindaci e assessori? Ecco, avessimo una volta una reprimenda ex ante da parte di un presidente degli architetti, sarebbe già un bel passo avanti sul fronte della cura del territorio.
Perché, come dice il presidente regionale ligure della Coldiretti Germando Gadina: «In Liguria l’avidità, nel senso più ampio del termine, si è mostrata, negli ultimi 50 anni, nel continuo furto di terreno agricolo utilizzato per edificare, cementificare, appiattire, livellare, apportare modifiche permanenti al bene “paesaggio” con l’erronea convinzione che i processi costruttivi potessero essere la chiave dell’economia ma in realtà con una sola certezza: sui terreni dove si è costruito, l’attività agricola non si farà mai più».
giovedì 8 dicembre 2011
Cemento, sei mesi di stop in Liguria. Stop all'Outlet di Brugnato
La Regione ha adottato la variante urbanistica che riguarda soprattutto i comuni dello Spezzino
di AVA ZUNINO, La Repubblica, 7 dicembre 2011
Il progetto dell'Outlet di Brugnato
Fermi tutti: da oggi si bloccano per sei mesi le nuove edificazioni in tutte le aree che sono state inondate nelle alluvioni delle scorse settimane. E' una delle misure previste dalla variante urbanistica di salvaguardia adottata dalla giunta regionale e che riguarda in modo pressoché esclusivo i comuni dello Spezzino. "L'alluvione a Genova non ha modificato i confini delle aree di rischio previste dai piani di bacino", ripete ancora il presidente della Regione Claudio Burlando. Come dire che in queste aree genovesi non possono esserci edificazioni previste o in corso e se ci sono sono in contrasto con il piano di bacino esistente.
Nella delibera varata ieri sera dalla giunta all'unanimità, c'è dunque la moratoria per il cemento ed è calibrata in maniera diversa a seconda che si tratti di cantieri aperti o progetti già autorizzati, come è il caso dell'outlet di Brugnato, oppure progetti il cui iter autorizzativo non è ancora concluso. Quest'ultimo potrebbe essere il caso degli edifici e della darsena di Marinella. Tutto passa ad un nuovo esame dell'Autorità di Bacino. Dunque, non sarà la Regione ad approfondire l'accaduto ma l'autorità preposta ad occuparsi del regime delle acque.
La delibera stabilisce che se i progetti non sono ancora cantierabili, ma è ancora in corso l'esame e le procedure autorizzative non sono concluse, lo stop durerà sei mesi: in questo periodo l'autorità di bacino analizzerà le carte e deciderà se le previsioni progettuali sono da approvare o se, alla luce di quanto accaduto nell'alluvione, devono essere modificate o bocciate. La stessa Autorità, se fosse necessario, avrà altri sei mesi di tempo per approfondire questa istruttoria. In sostanza, per i progetti in itinere lo stop potrebbe arrivare ad un anno.
Si fermano ma con tempi più brevi, anche i progetti che sono già cantieri o che sono stati autorizzati, ed è il caso dell'outlet di Brugnato, che aveva provocato scontri tra gli stessi assessori della giunta regionale.
In questi casi, i progetti saranno inviati nuovamente all'Autorità di Bacino, che avrà 45 giorni di tempo a partire dal 15 dicembre, per pronunciarsi di nuovo alla luce dell'accaduto. Anche in questo caso, potrà trattarsi di un ripensamento totale, trasformando in una bocciatura la vecchia autorizzazione, un ripensamento parziale (che richiede modifiche progettuali) o un nuovo benestare. In tutti i casi queste istruttorie saranno chiuse alla fine di gennaio.
Burlando spiega ancora che lo spirito del provvedimento è adeguare gli strumenti di tutela: "da questo evento alluvionale sono emerse mappe di rischio diverse da quelle conosciute finora. Lo spirito è fare una riflessione per vedere se ciò che avevamo pensato finora è ancora giusto o se va rafforzato".
La delibera comprende le mappe delle zone allagate nelle due alluvioni di fine ottobre nello spezzino e del 4 novembre a Genova, e con una serie di prescrizioni di protezione civile, stabilisce cosa si deve fare e cosa non è possibile fare per i prossimi sei mesi. E' una sorta di regime speciale che durerà fino al prossimo mese di giugno e che riguarda un'area più vasta di quella già individuata come "a rischio" dai piani di bacino esistenti. Le mappe allegate alla delibera in sostanza individuano una nuova perimetrazione del rischio perché di fatto fotografano un cambiamento delle classificazioni dei piani di bacino in vigore.
mercoledì 30 novembre 2011
Ci batteremo in tutti i Comuni per la tutela del territorio
Liberazione, 16 novembre 2011 di Chiara Bramanti, segretaria provinciale Prc La Spezia
2011: anno zero da cui ripartire
Cara “Liberazione”, passata l’emergenza alluvione, dobbiamo tutti considerare il 2011 come anno zero da cui ripartire. Diciamo tutti insieme stop al cemento. Rifondazione Comunista della Spezia è stato l’unico partito che ha organizzato una squadra di volontariato permanente, accogliendo nella propria sede oltre quattrocento ragazzi dalle “fasce rosse” per portare aiuto a Fiumaretta, Brugnato e Borghetto Vara.
Nei giorni scorsi con noi a Borghetto ha prestato il suo contributo anche il segretario nazionale Paolo Ferrero, che ha condiviso la nostra analisi. Il clima è cambiato, ma si continua a rubare spazio agli alvei fluviali. (...) I sindaci plenipotenziari non fanno che monetizzare il territorio per oneri d’urbanizzazione, dando in concessione aree a rischio per centri commerciali pieni di capannoni vuoti e di lavoratori precari, o per residenze destinate ad essere sfitte. Si stigmatizza ogni buona pratica, così la colpa dei disastri è di chi dice no alla speculazione edilizia. La politica ha fallito in molte realtà. (...)
Questa tragedia segna un passaggio decisivo per il nostro territorio. Quanto è avvenuto in questi giorni traccia una demarcazione profonda, un punto di non ritorno rispetto al quale non c’è più tempo per indugi per mediazioni politiche. Rifondazione Comunista, in tutte le amministrazioni spezzine dove è presente, farà una battaglia politica per la revisione dei Puc che abbia come obiettivo la vulnerabilità del territorio e la sua tutela, da accompagnarsi con norme di salvaguardia: blocco e moratoria edilizia fino alla loro predisposizione. Lo abbiamo già fatto approvare lo scorso anno a Lerici e appena due giorni fa la nostra mozione è stata approvata nel Comune di Ortonovo. Riteniamo, senza se e senza ma, che questi principi dovranno essere
gli assi portanti dei programmi delle prossime amministrazioni.
martedì 1 novembre 2011
Wwf contro Regione 'Tragedia annunciata'
di Marco Preve, La Repubblica, 29 ottobre 2011
IL WWF nazionale diffonde un comunicato in cui parla di tragedia annunciata e attacca la Regione Liguria per aver varato, proprio quest' estate, un regolamento «che ha ridotto da 10 a 3 metri le distanze minime di edificazione vicino ai corsi d' acqua». Dagli uffici di piazza De Ferrari si spiega che il provvedimento è stato voluto in realtà per rendere omogenee le diverse scelte delle Provincie con i loro piani di bacino e al contempo fissare paletti e prescrizioni che, in passato, chi voleva costruire non incontrava. Se i tecnici hanno così reso più difficile, soggetta a passaggi di verifica e controllo, la procedura, dal punto di vista politico la scelta non è stata però radicale come in altre regioni in cui il divieto di costruzione resta ancorato alla fascia di sicurezza dei dieci metri. «Rispettando in questo modo spiega Marco Piombo presidente del Wwf Liguria- le direttive del testo unico delle opere idrauliche del 1904, che introduceva il principio base della distanza di 10 metri delle costruzioni dai corsi d' acqua». Dalla Regione, però, si sottolinea che la deroga sotto i 10 metri era già stata resa possibile da una legge regionale della Liguria del 1993. I successivi piani di bacino provinciali avevano così a loro volta acconsentito a notevoli riduzioni della fascia di sicurezza. A Monterosso e Vernazza, ad esempio, era di cinque metri a Imperia si scendeva a tre. Naturalmente la fascia riguarda zone non considerate a rischio esondazione per le quali i vincoli sono ben più severi. Una sorta di deregulation delle aree a ridosso degli argini, alla quale il Regolamento di quest' estate vorrebbe porre rimedio. La riduzione delle dimensioni della fascia non è infatti automatica, ma potrà essere concessa solo dietro una serie di analisi, studi e documenti che prima non erano invece necessari. Inoltre, la riduzione è prevista in particolare per corsi d' acqua minori e aree già urbanizzate, dove eventuali interventi non andranno a cancellare spazi verdi. Resta il fatto che la politica ha deciso sì di mettere ordine in una situazione confusa, ma senza tornare ai parametri più restrittivi che la normativa nazionale consente. E la "sentenza" del Wwf è pesante: «La Liguria rappresenta un caso esemplare della miopia istituzionale sull' attività di prevenzione e tutela del territorio».
lunedì 31 ottobre 2011
Una grande alleanza per salvare il paesaggio
di Carlo Petrini, La Repubblica, 28 ottobre 2011
«DOPO i campi di sterminio, stiamo assistendo allo sterminio dei campi». Parole di Andrea Zanzotto, il grande poeta che ci ha da poco lasciato all' età di 90 anni. È una citazione famosa, che chi si batte contro il consumo di suolo (Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Alberto Asor Rosa, Luca Mercalli, Luca Martinelli) giustamente conosce e non esita a utilizzare. Mi accodo buon ultimo anch' io, a maggior ragione di fronte a cosa hanno subito la Liguria e la Toscana negli ultimi giorni, senza dimenticare come Roma è andata in tilt una settimana prima a causa di piogge più intense della norma. Sia che si chiami in causa il cambiamento climatico, sia che si accusi l' eccessiva e disordinata cementificazione, più o meno indirettamente dietro a queste sciagure c' è sempre la mano incauta dell' uomo. Perché il cambiamento climatico lo causiamo noi, la cementificazione selvaggia la pratichiamo noi, abusiva o legale che sia. Le connessioni nascoste tra ciò che facciamo e certe loro brutte conseguenze sono sempre meno nascoste. E fanno male in termini di vite umane, territori cancellati, danni ingenti. Allora, pur se profondamente rattristato dalle ultime alluvioni, voglio dare una buona notizia: domani, a Cassinetta di Lugagnano (MI), ci sarà la prima costituente Assemblea Nazionale del Forum dei Movimenti per la Terrae il Paesaggio. Aderenti da tutta Italia lanceranno la campagna "Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori". Non si può aspettare oltre, urge una mobilitazione. Oggi, dopo quell' insostituibile bene comune qual è l' acqua siamo passati anche alla tutela attiva sul territorio del secondo bene comune irrinunciabile: il suolo fertile. Come il Forum Nazionale dei Movimenti per l' Acqua che ha vinto l' importante battaglia dei referendum nello scorso giugno, anche i movimenti per la terra e il paesaggio hanno deciso di unirsi per agire concretamente, capillarmente sui territori e a livello nazionale. Non è importante dire chi c' è dentro. Anche se le migliaia di aderenti possono vedere sul sito che è il cuore del Forum, www.salviamoilpaesaggio.it, nessuno è qui per fare pubblicità a se stesso o ad altre cause. La bandiera è quella del paesaggio, dei suoli fertili, della loro integrità per rifuggire anche eventi drammatici come quelli liguri. È una bandiera che va al di là di qualsiasi colore o interesse particolare. Migliaia di singoli cittadini, centinaia di organizzazioni nazionali hanno già aderito, stanno nascendo i comitati locali, e chiunque è libero di costituirli. Chi legge con attenzione i giornali, i più diffusi o quelli più piccoli locali, sa che i temi della difesa del suolo libero dalla cementificazione e la tutela del paesaggio sono tra quelli che stanno più a cuore ai cittadini. Normalmente gli articoli che ne parlano e che appaiono su queste pagine sono quelli che scatenano più e-mail di commento, ma soprattutto segnalazioni di cittadini che si oppongono alla costruzione di una zona industriale in un' area agricola, alla devastazione di tratti di costa, a piani regolatori scellerati, alla rovina per sempre del profilo di meravigliose colline e valli. Le denunce continuano a migliaia in tutto il Paese, dai casi più eclatanti ai piccolissimi scempi che rosicchiano minime porzioni di suolo fertile. Ora finalmente ci sarà un vero strumento per passare all' azione, entriamo nel vivo rispetto a un tema dove l' hanno sempre fatta da padrone grandi speculatori, poteri forti e l' interesse di pochi contro quelli della collettività. La campagna "Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori", cui è sufficiente aderire on-line, vuole fare da amplificatore per i problemi a livello locale, ma il Forum che la promuove sta lavorando a due importanti progetti, - potenzialmente dirompenti come i referendum sull' acqua - che si lanceranno domani a Cassinetta di Lugagnano. Il primo è la richiesta da parte dei cittadini al proprio Comune di un censimento, sul proprio territorio, di tutti gli edifici pubblici e privati, civili e industriali sfitti, vuoti e inutilizzati. Soltanto prendendo in considerazione le grandi città, negli ultimi dieci anni in Italia si sono costruite 4 milioni di case, mentre pare che ce ne siano almeno 5,2 milioni di vuote. Per non parlare dei capannoni, la cui proliferazione negli ultimi anni insulta anche il più maleducato senso estetico: continuo a vederne di abbandonati ovunque, con striscioni appesi che ne implorano l' affitto. Prima di costruire altro allora capiamo che cosa c' è a disposizione, utilizziamo l' inutilizzato, smettiamola di edificare dove non si può o dove non si dovrebbe, non sacrifichiamo più suolo libero, perché è fondamentale per la nostra agricoltura e il turismo, ma anche per prevenire frane e alluvioni. Il censimento è una prima mossa, e saranno i comitati locali a pretenderlo, ma poi ci sarà un secondo strumento: il Forum sta lavorando a una legge d' iniziativa popolare per arrivare a una moratoria nazionale al consumo di suolo. La Provincia di Torino ha già fatto una legge di questo tipo, ed è uno degli esempi che cercheremo di seguire, insieme alle legislazioni tedesche e britanniche molto più restrittive delle nostre. Il Comune di Cassinetta di Lugagnano, scelto per la prima Assemblea Nazionale dei Forum per la Terra e per il Paesaggio, è un altro esempio virtuoso perché ha dichiarato il suo territorio "a crescita zero", come del resto già altri piccoli comuni in Italia (e li volevano cancellare!). Non entrino in fibrillazione quelli del settore edilizio: abbiamo così tante case da ristrutturare, da buttar giù per tirarne su di nuove, di brutte da abbellire, senza contare l' enorme sforzo da fare per migliorare l' efficienza energetica che ci sarà lavoro in abbondanza per tutti nei prossimi anni. Come vediamo, ancora una volta in futuro dovremo privilegiare la qualità rispetto alla quantità, fare lavori migliori che dureranno di più nel tempo e miglioreranno la nostra vita e i luoghi in cui viviamo: c' è meno margine per speculare, ma più possibilità per guadagnarci tutti quanti qualcosa ed evitare catastrofi. Ciò che si spende per riparare a disastri come quello occorso in Liguria - ma che ormai si rincorrono mese dopo mese in ogni parte d' Italia - è di gran lunga più costoso di quanto non spenderemmo mai per un' attenta e corretta gestione del territorio. Non c' è bisogno di nuove case, non c' è bisogno di nuovi capannoni: è ora di capire che chi li fa li fa soltanto per il proprio tornaconto privato, e intanto distrugge un bene comune. Rispettiamo la proprietà privata, ma il bene comune deve avere la precedenza. Il paesaggio, forse a prima vista meno tangibile dell' acqua, è un bene comune perché tutelandolo si preservano l' ambiente, la sicurezza delle persone, le attività agricole, i suoli, la bellezza. Il privato, fatti salvi i suoi diritti, non può privare il resto della comunità di qualcosa d' insostituibile e di non rinnovabile. Il privato non può privare.
Il tempo impazzito e l' incuria di Stato
di Giovanni Valentini, La Repubblica, 27 ottobre 2011
È UNA dolorosa casualità quella che fa coincidere nello stesso giorno il disastro nel Nord d' Italia con il viaggio disperato del nostro presidente del Consiglio a Bruxelles. MA NON è purtroppo una fatalità questa "tragedia annunciata", come la definisce polemicamente il Wwf denunciando l' assenza di un presidio sul territorio in grado di prevenire le conseguenze del dissesto idro-geologico. Ed è tutt' altro che casuale la coincidenza fra la crisi economica e l' emergenza ambientale, perché discende dalla lunga storia del Malpaese e dai tagli drastici imposti dalla dissennatezza di questo governo. Con il suo drammatico bilancio di vittime e di danni, l' alluvione che in poche ore ha messo in ginocchio il Nord è in qualche modo una metafora della nostra imprevidenza e della nostra incuria. Consumo del territorio. Cementificazione selvaggia. Condoni a ripetizione. Distruzione del patrimonio naturale. Abbandono delle campagne e dell' agricoltura. Dissipazione delle risorse ambientali ed economiche. Un malgoverno che certamente viene da lontano, ma raggiunge oggi la sua terrificante apoteosi. Non esagerano questa volta i Verdi ad annunciare un esposto contro lo Stato per disastro colposo. «C' è un problema di mancata prevenzione», come ammette lo stesso capo della Protezione civile, Franco Gabrielli. Non ha torto perciò il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, quando contesta a Berlusconi e Tremonti di aver tagliato il 90% dei fondi per l' ambiente. Dai 44 miliardi di euro preventivati per mettere in sicurezza il territorio italiano, di cui 27 per il Centro-Nord, siamo scesi - secondo i senatori "ecodem" Francesco Ferrante e Roberto Della Seta - ad appena 31 milioni. Nel frattempo, il povero ministro Stefania Prestigiacomo ha minacciato più volte le dimissioni e versato lacrime di rabbia, ma non è riuscita a ottenere di più. E ora il suo collega Ignazio La Russa rivendica bellamente l' invio di qualche centinaio di militari sui luoghi del disastro, dopo che la Difesa ha stanziato 16 miliardi per l' acquisto di nuovi aerei da combattimento. Venticinque milioni di danni alla viabilità in Liguria. Danni alle campagne per decine di milioni, come denuncia la Confederazione degli agricoltori. Frane, crolli e macerie. Il paese di Monterosso cancellato e tanti altri evacuati. Sembra un bollettino di guerra, ma è solo il primo inventario di questa alluvione prevista e annunciata. Quando alla fine si faranno tutti i conti, si scoprirà verosimilmente che lo Stato dovrà spendere molto di più di quanto il Tesoro ha tagliato. Ma nessuno potrà restituire la vita alle vittime del maltempo e del malgoverno. «Sono tributi molto dolorosi che paghiamo ai mutamenti climatici», avverte con saggezza il presidente Napolitano. E alle soglie della Terza rivoluzione industriale, il suo - più che un conforto di circostanza - suona come un appello a modificare radicalmente la politica energetica, per salvaguardare l' ambiente e la sicurezza collettiva.
Politici, non venite a chiederci soldi
Maurizio Maggiani, Il Secolo XIX , 27 ottobre 2011
Io la conosco bene la valle della Magra, da Pontremoli in giù. Chi ci va mai giù lungo il fiume a vedere come è fatto? Io ci vado a vedere la Magra, e lo vedo che cos’è diventata in questi ultimi decenni. È diventata un’unica immensa infinita discarica. Però l’hanno chiamato parco naturale, il parco naturale della Magra.
Così io trovo i cartelli del parco ficcati sulle discariche abusive, sugli argini dissolti. Nel Medioevo la Magra andava fuori due volte l’anno, adesso ha ricominciato a uscire due volte l’anno. Sono passati mille anni, è nata la scienza idrogeologica, l’ingegneria ha fatto passi da gigante, la tecnologia ha messo a disposizione strumenti inimmaginabili, eppure due volte all’anno siamo di nuovo lì a guardare il fiume che va fuori. Ma il presidente del Parco è come se non avesse mai messo piede sul fiume, non credo che si renda conto, che sappia quale devastazione vi sia intorno.
Mi ha telefonato un mio amico che dirige un’impresa di edilizia e scavi. Ieri gli hanno chiesto dieci squadre con le ruspe e tutto quanto. L’anno scorso l’avevano chiamato con altrettante squadre negli stessi posti. Abbiamo fatto solo dei rattoppi, mi ha detto, perché quelli là non hanno soldi. Ma adesso con quello che è successo non puoi più farci niente, neanche i rattoppi. E di soldi ce ne sono meno ancora.
Aulla, uno dei posti più brutti del mondo: il fiume è uscito e ha fatto anche due morti. Mi chiedo: ci sarà una relazione con il fatto che Aulla è uno dei posti più brutti del mondo, costruito male e mantenuto peggio? Sì, c’è una relazione, quella città è così brutta perché la sua comunità negli ultimi decenni ha deciso che non le importava nulla della cura dell’ambiente, del proprio fiume.
Che se guardi bene è un tutt’uno con la cura della propria vita.
Le Cinque Terre, tra i posti più belli del mondo. Sono state per secoli un miracolo di equilibrio tra lavoro umano e morfologia del territorio. Cos’è successo? È successo che negli ultimi trent’anni si è estinto quello che era sempre stato un lavoro bestiale, una lotta disumana, tremenda e faticosissima per contenere i corsi d’acqua, rinforzare le terrazze e i muretti a secco, coltivare quel po’ di arida terra che si arrampica su per i monti. Poi è arrivato il boom del turismo. La gente si è arricchita smodatamente in un colpo solo. Oggi chi possiede anche soltanto una cantina non ha nessuna voglia e nessuna intenzione di lavorare. Uno si siede davanti alla sua cantina, rassettata, condonata e adibita a bed and breakfast e sta lì ad aspettare i turisti. In un anno chi è proprietario di una sola stanza può mettere insieme anche ventimila euro. Esentasse. È stata una rivoluzione straordinaria, spaventosa, credo che la gente non sia nemmeno riuscita a rendersene conto. Ad aggravare le cose in modo altrettanto spaventoso è ciò che hanno fatto i politici di destra e di sinistra. Hanno creato il Parco, l’hanno gestito con i metodi loro. Ma ci sarà qualche relazione tra queste frane e l’inchiesta giudiziaria che il Parco ha azzerato, e che ha mandato tutti in galera?
Il sindaco di Monterosso ha detto che il paese non esiste più. È terribile, ne soffro immensamente, però Monterosso non esiste più da vent’anni. Ci sarà o no qualche relazione tra questo ultimo disastro e tutti gli abusi edilizi del passato recente, prossimo e remoto? Mica soltanto abusi, anche interventi regolarmente autorizzati dal Comune. Hanno detto sì perfino a una piscina a picco sul mare accanto a un albergo. Una piscina. A picco sul mare. A Monterosso.
A Monterosso e in tutte le Cinque Terre è stata aggredita e spolpata fino all’osso, in una sola generazione, una risorsa che ha alcuni milioni di anni. Le chiamano imprese. Per me è solo aggressività e voracità. Imprenditoriale.
Ma quanto può durare un turismo organizzato per portarti nelle Cinque Terre cinque milioni di presenze all’anno? Io che là ci vado a camminare lo vedo quanto dura: vedo i sentieri che crollano, i muri che spanciano, la terra che si spacca. Quanti investimenti sono stati fatti per tutelare quel territorio straordinariamente delicato, rispetto a quanto si sono imbertati tutti, politici e semplici abitanti, quelli delle Cinque Terre?. Bisogna andare a vedere. Qualcuno, pochi, le fasce le tiene ancora, la terra la cura e i risultati si vedono: dagli incendi e dalle alluvioni si salvano i terreni curati e lavorati. Ma quelli che ci lavorano sono un’infima minoranza perché produrre un quintale di vino alle Cinque Terre costa come cento quintali in Romagna. Ma tu, uomo delle Cinque Terre, cosa hai dato al territorio in cambio dei miliardi di euro che ti frutta?
E adesso nessuno mi venga a chiedere di contribuire. I danni li dovrebbero pagare quelli che si sono arricchiti. Sono stufo di pagare io, mi chiedono di pagare anche se voglio solo andare a camminare: hanno messo una tassa di 5 euro solo per camminare, e io da allora non ci sono più andato. Così le Cinque Terre potranno vivere ancora soltanto per il tempo di una generazione. Finita questa, saranno finite le Cinque Terre. Resteranno i figli di quelli che si sono arricchiti e i figli non avranno più nemmeno bisogno di arricchirsi. Avranno solo il problema di godersi i soldi dei padri. Magari, se ne andranno alle Seychelles.
Liguria: le responsabilità della politica (rossa)
di Marina terragni, 28 ottobre 2011 Blog Leiweb
Il 6 luglio scorso, in un post intitolato “Un presidente competente“, parlavo nomina del presidente dell’ente Parco Montemarcello Magra, uno degli epicentri della catastrofe ligure, da lungo tempo soggetto a smottamenti e frane. Terrorizzati dalla prospettiva della solita nomina politica, gli eroici ambientalisti della zona indicavano come il nome del professor Piero Donati, nato e cresciuto in quei luoghi, storico dell’arte ed ex funzionario della Sovrintendenza ai Beni Storico Artistici della Liguria di Levante, da sempre in prima fila nella difesa e nella valorizzazione di questo territorio bellissimo e difficile, benché non in quota ad alcun partito.
Facevano bene a preoccuparsi: come al solito, il nome uscito dalla concertazione tra i politici locali è stato quello di Francesco Pisani, secondo le associazioni ambientaliste “una delle scelte più sbagliate che si potessero operare… nel suo iter Amministrativo come Sindaco di Ameglia prima, e poi come Presidente di Ameglia Servizi, e tuttora come Assessore all’Urbanistica dello stesso Comune, ha dato prova di essere soggetto dalla scarsissima sensibilità ambientale”. Ma evidentemente a Pisani andava trovata una collocazione. Chi campa di politica pretende di continuare a camparci ad libitum.
Regione, provincia e buona parte dei comuni dello spezzino sono governati da giunte rosse. In particolare da un Pd dall’identità cementizia e speculatrice, che in quel meraviglioso territorio oggi devastato progetta di costruire una megadarsena artificiale da mille posti barca circondata da migliaia di metri cubi di villette a schiera, alberghi e via dicendo, uno degli ecomostri più ecomostri che si possano immaginare (progetto Marinella: vedi http://blog.leiweb.it/marinaterragni/2009/07/18/la-rivoluzione-del-buon-senso/). Così il fiume Magra avrà più barche da trascinare alla deriva, alla prossima piena. Sono anni che strilllo, e non smetterò di strillare.
La nomina dei presidenti dei Parchi tocca al Governatore Claudio Burlando. La terribile lezione di questi giorni porti consiglio. In quei posti ci vuole gente competente e innamorata dell’ambiente, esperta di dissesto idrogeologico, malattia gravissima del nostro territorio, e capace di individuare soluzioni efficaci in una situazione in cui le risorse pubbliche scarseggiano.
Chi pretende di vivere di (cattiva) politica potrebbe anche considerare l’ipotesi di andare a lavorare, come facciamo tutti. E il Pd ligure farebbe bene a intraprendere una seria riflessione.
domenica 30 ottobre 2011
L'edificazione selvaggia che erode il nostro futuro
di Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa, 10 ottobre 2011
Qualcosa si muove, anche nelle pubbliche amministrazioni, contro il consumo di suolo.
Ogni giorno in Italia vengono cementificati 130 ettari di terreno fertile. Sviluppo necessario? Non sempre, visto il gran numero di aree dismesse destinate a restare inutilizzate. Ma allora perché le misure a salvaguardia del suolo continuano a incontrare tante ostilità?
La Provincia di Torino ha appena approvato un piano di governo del territorio che introduce per la prima volta, all’articolo 1 e come principio cogente per i Comuni, «il contenimento del consumo di suolo». E dunque: stop alle edificazioni indiscriminate su aree libere, riuso di quelle già compromesse. Una rivoluzione, in un territorio in cui le nuove costruzioni in quindici anni hanno occupato un’area vasta quasi quanto Torino, mentre la popolazione rimaneva invariata. La frantumazione dei nuclei familiari (il 53% ha meno di tre componenti), che aumenta la domanda di nuovi alloggi, giustifica solo in parte il fenomeno. Infatti nell’ultimo decennio in Italia sono state costruite 4 milioni di case, ma ce ne sono 5,2 milioni vuote solo nelle grandi città.
«Il consumo di suolo è la grande emergenza del nostro Paese», spiega il presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta. «Io non sono un talebano, ma non si può più consumare il futuro». In Italia si cementificano ogni giorno circa 130 ettari di suoli fertili. Si tratta di una stima, perché lo Stato non si è mai occupato del problema e ogni Regione fa a modo suo (solo cinque hanno banche dati), quindi ci si affida ai dossier di associazioni ambientaliste e professionali o a studiosi appassionati tra cui Andrea Arcidiacono, Paolo Berdini, Vezio De Lucia, Georg Josef Frisch, Luca Mercalli, Paolo Pileri, Edoardo Salzano, Salvatore Settis, Tiziano Tempesta.
Dal 2000, con la possibilità di spendere gli oneri urbanistici liberamente, è stata data ai Comuni la licenza di svendere il territorio: con gli incassi si tamponano le falle nei bilanci. Altri Paesi hanno preso sul serio la faccenda. La Germania si è ripromessa di dimezzare i 60 ettari consumati ogni giorno. La prima legge in tal senso fu promossa negli Anni 80 da Angela Merkel, all’epoca ministro dell’Ambiente. Inoltre ha stanziato 22 milioni di euro per ricerche, mentre in Italia l’ultima finanziata con denaro pubblico risale agli anni ‘80. In Gran Bretagna, ogni anno il premier stila un documento sul suolo consumato: quanto, come e perché, ettaro per ettaro, considerando che la legge obbliga a costruire per il 60 per cento su «brownfield sites» (aree già edificate).
In Italia il ministero dell’Ambiente non ha nemmeno un osservatorio. Il suolo è prezioso per diverse ragioni: garanzia di sovranità alimentare, come dimostra l’accaparramento delle terre a opera delle economie emergenti; antidoto al dissesto idrogeologico, in un Paese a rischio per due terzi; serbatoio di anidride carbonica; formidabile riciclatore di rifiuti. «Insomma il suolo è il fegato dell’ecosistema terra», sintetizza l’agronomo Antonio Di Gennaro, autore del libretto «La terra lasciata» (Clean Edizioni). Non solo. La pellicola di suolo formatasi in processi millenari si distrugge facilmente e in modo irreversibile.
A metà del secolo scorso, l’Italia aveva il massimo della superficie coltivata. Poi è cominciata l’edificazione di massa, che negli ultimi decenni si è concentrata sul 20 per cento di territorio pianeggiante, cioè più fertile e delicato. Contemporaneamente, l’abbandono della montagna causava un aumento dei boschi per 80 mila ettari. Notizia solo apparentemente positiva: la montagna senza manutenzione rovescia acqua sulla pianura inflazionata. Seguono disastri. Che fare? Negli ultimi anni, qualcosa si è mosso: dal piano regolatore di Napoli, elaborato ai tempi della prima giunta Bassolino dai «Ragazzi del piano» (titolo di un libro dell’urbanista Vezio De Lucia, Donzelli) a quello della Provincia di Foggia, firmato da Edoardo Salzano, fondatore del sito web eddyburg.
In Lombardia, che ha il record di 15 ettari consumati ogni giorno, Domenico Finiguerra, giovane sindaco della minuscola Cassinetta di Lugagnano, è diventato portabandiera dell’urbanistica a consumo zero di suolo. Per ovviare agli incassi ridotti, ha creato un business dei matrimoni attirando turisti fin dalla Russia: dopo i primi contrasti, è stato rieletto a furor di popolo e ora gira l’Italia a raccontare la sua esperienza. Successo inaspettato ha ottenuto Nicola Dall’Olio, autore del documentario fai-da-te «Il suolo minacciato» sulla pianura padana sepolta dai capannoni vuoti. A Milano la ricerca «Spazi aperti», promossa dalla Fondazione Cariplo e realizzata dal Politecnico, ha monitorato la corona di comuni intorno all’area dell’Expo: in soli otto anni più di mille ettari di campi, prati e boschi sono stati persi «con il rischio che gli appetiti sollecitati dal grande evento spazzino via gli ultimi spazi liberi».
Due anni di lavoro e settemila fotografie sono diventati una mostra alla Triennale con 5 mila visitatori in due settimane. Movimenti e comitati si moltiplicano in tutta Italia e due mesi fa Slow Food ha lanciato un appello con il network «Stop al consumo di suolo», proponendo una moratoria per legge sulle aree non edificate. Proprio quello che ha deciso di fare la Provincia di Torino. Per lunghi anni (e in molte parti d’Italia ancora oggi) questi piani provinciali sono serviti solo a elargire laute consulenze, producendo libroni di vaghi e inattuati precetti. In realtà, possono essere importanti.
La Provincia di Torino lo ha elaborato proprio nel pieno della polemica sul nuovo megastore Ikea. Lo stesso Saitta aveva bocciato il progetto della multinazionale del mobile low cost: un nuovo megastore su una zona agricola nell’hinterland torinese. Saitta aveva obiettato: con tante zone industriali dismesse, non è il caso di compromettere un’area libera. L’azienda aveva già da tempo opzionato i suoli, il cui valore nel frattempo si era moltiplicato da 4 a 16 milioni di euro, impuntandosi: o lì o niente investimento. E così è nato un braccio di ferro. Lo scontro ideologico sull’Ikea avrebbe potuto mandare all’aria il piano del territorio, che negli stessi giorni giungeva a conclusione di un lungo iter.
Invece è accaduto il contrario: è stato approvato rapidamente sia in Provincia (maggioranza di centrosinistra) che in Regione (centrodestra) e condiviso con gran parte dei 315 sindaci del territorio. Ora Ikea sta trattando con le istituzioni una diversa collocazione del megastore, su un’area industriale dismessa. Se l’accordo andasse in porto, un capannone abbandonato sarebbe riutilizzato e oltre 150 mila metri quadri di terreno agricolo (un’area pari a venti campi di calcio) sarebbero salvi.
sabato 1 ottobre 2011
Piano di governo del territorio e sviluppo demografico: il T.A.R. Brescia censura la previsione sproporzionata rispetto al dato storico
Finalmente una buona, anzi buonissima notizia !
è la prima sentenza (anche se solo di un T.A.R.) che annulla un Piano per una previsione sconsiderata di aumento della popolazione esistente, speriamo ne arrivino altre, visto che moltissimi Piani prevedono teorici e non giustificati aumenti degli abitanti e conseguentemente delle aree edificabili.
Alice Galbiati , 8 luglio 2011 Etichette
Con sentenza n. 951/2011 depositata il 28 giugno 2011, il T.A.R. Lombardia, sezione di Brescia, ha annullato iel Piano per il governo del territorio del Comune di Soncino (Cremona), accogliendo le censure di illogicità mosse nei confronti delle previsioni di sviluppo demografico, non giustificate, secondo la Corte, alla luce degli elaborati di piano.
Dopo aver ribadito che la legittimazione ad impugnare gli atti di adozione e approvazione dello strumento urbanistico generale non può essere riconosciuta ai cittadini per il solo fatto di risiedere nel Comune, ma debba esser necessariamente fondata da un diretto ed immediato pregiudizio subito, i Giudici di Brescia si sono concentrati sulle contestate previsioni di sviluppo del territorio.
Pur riconoscendo l'ampia discrezionalità delle amministrazioni locali nelle scelte operate in sede di pianificazione urbanistica, il T.A.R. Brescia censura l'abnormità del mero dato numerico dell'aumento del 30% della popolazione attuale, evidenziandone la consistenza anche in valore assoluto ed in rapporto all'evoluzione demografica, sostanzialmente stabile, del Comune negli anni.
Limitandosi a sottolineare l'assenza di giustificazioni all'interno dei documenti di piano di tale scelta, i Giudici bresciani hanno quindi annullato il Piano del Comune di Soncino, invitando il Comune a dare successivamente debito conto delle proprie stime in sede di riadozione
I fondamentalisti dell'economia
L'ABISSO FRA POVERI E RICCHI
di Zygmunt Bauman, La repubblica 21 settembre 20110
All'epoca dell'Illuminismo, di Bacone, Cartesio o Hegel, in nessun luogo della terra il livello di vita era più che doppio rispetto a quello delle aree più povere. Oggi il paese più ricco, il Qatar, vanta un reddito pro capite 428 volte maggiore di quello del paese più povero, lo Zimbabwe. E si tratta, non dimentichiamolo, di paragoni tra valori medi, che ricordano la proverbiale statistica dei due polli.
Il tenace persistere della povertà su un pianeta travagliato dal fondamentalismo della crescita economica è più che sufficiente a costringere le persone ragionevoli a fare una pausa di riflessione sulle vittime collaterali dell'"andamento delle operazioni".
L'abisso sempre più profondo che separa chi è povero e senza prospettive dal mondo opulento, ottimista e rumoroso - un abisso già oggi superabile solo dagli arrampicatori più energici e privi di scrupoli - è un'altra evidente ragione di grande preoccupazione. Come avvertono gli autori dell'articolo citato, se l'armamentario sempre più raro, scarso e inaccessibile che occorre per sopravvivere e condurre una vita accettabile diverrà oggetto di uno scontro all'ultimo sangue tra chi ne è abbondantemente provvisto e gli indigenti abbandonati a se stessi, la principale vittima della crescente disuguaglianza sarà la democrazia. Ma c'è anche un'altra ragione di allarme, non meno grave. I crescenti livelli di opulenza si traducono in crescenti livelli di consumo; del resto, arricchirsi è un valore tanto desiderato solo in quanto aiuta a migliorare la qualità della vita, e "migliorare la vita" (o almeno renderla un po' meno insoddisfacente) significa, nel gergo degli adepti della chiesa della crescita economica, ormai diffusa su tutto il pianeta, "consumare di più". I seguaci di questo credo fondamentalista sono convinti che tutte le strade della redenzione, della salvezza, della grazia divina e secolare e della felicità (sia immediata che eterna) passino per i negozi. E più si riempiono gli scaffali dei negozi che attendono di essere svuotati dai cercatori di felicità, più si svuota la Terra, l'unico contenitore/produttore delle risorse (materie prime ed energia) che occorrono per riempire nuovamente i negozi: una verità confermata e ribadita quotidianamente dalla scienza, ma (secondo uno studio recente) recisamente negata nel 53 per cento degli spazi dedicati al tema della "sostenibilità" dalla stampa americana, e trascurata o taciuta negli altri casi.
Quello che viene ignorato, in questo silenzio assordante che ottenebra e deresponsabilizza, è l'avvertimento lanciato due anni fa da Tim Jackson nel libro Prosperità senza crescita: entro la fine di questo secolo "i nostri figli e nipoti dovranno sopravvivere in un ambiente dal clima ostile e povero di risorse, tra distruzione degli habitat, decimazione delle specie, scarsità di cibo, migrazioni di massa e inevitabili guerre". Il nostro consumo, alimentato dal debito e alacremente istigato/ assistito/amplificato dalle autorità costituite, "è insostenibile dal punto di vista ecologico, problematico da quello sociale e instabile da quello economico". Un'altra delle osservazioni raggelanti di Jackson è che in uno scenario sociale come il nostro, in cui un quinto della popolazione mondiale gode del 74 per cento del reddito annuale di tutto il pianeta, mentre il quinto più povero del mondo deve accontentarsi del 2 per cento, la diffusa tendenza a giustificare le devastazioni provocate dalle politiche di sviluppo economico richiamandosi alla nobile esigenza di superare la povertà non è altro che un atto di ipocrisia e un'offesa alla ragione: e anche questa osservazione è stata pressoché universalmente ignorata dai canali d'informazione più popolari (ed efficaci), o nel migliore dei casi è stata relegata alle pagine, e fasce orarie, notoriamente dedicate a ospitare e dare spazio a voci abituate e rassegnate a predicare nel deserto.
Già nel 1990, una ventina d'anni prima del volume di Jackson, in Governare i beni collettivi Elinor Ostrom aveva avvertito che la convinzione propagandata senza sosta secondo cui le persone sono naturalmente portate a ricercare profitti di breve termine e ad agire in base al principio "ognun per sé e Dio per tutti"non regge alla prova dei fatti. La conclusione dello studio di Ostrom sulle imprese locali che operano su piccola scala è molto diversa: nell'ambito di una comunità le persone tendono a prendere decisioni che non mirano solo al profitto. È tempo di chiedersi: quelle forme di "vita in comunità" che la maggior parte di noi conosce unicamente attraverso le ricerche etnografiche sulle poche nicchie oggi rimaste da epoche passate, "superate e arretrate", sono davvero qualco-sa di irrevocabilmente concluso? O, forse, sta per emergere la verità di una visione alternativa della storia (e con essa di una concezione alternativa del "progresso"): che cioè la rincorsa alla felicità è solo un episodio, e non un balzo in avanti irreversibile e irrevocabile, ed è stata/è/si rivelerà, sul piano pratico, una semplice deviazione una tantum, intrinsecamente e inevitabilmente temporanea?
(Questo brano è un estratto dalla nuova prefazione di Bauman alla nuova edizione di Modernità liquidità in uscita per Laterza)
di Zygmunt Bauman, La repubblica 21 settembre 20110
All'epoca dell'Illuminismo, di Bacone, Cartesio o Hegel, in nessun luogo della terra il livello di vita era più che doppio rispetto a quello delle aree più povere. Oggi il paese più ricco, il Qatar, vanta un reddito pro capite 428 volte maggiore di quello del paese più povero, lo Zimbabwe. E si tratta, non dimentichiamolo, di paragoni tra valori medi, che ricordano la proverbiale statistica dei due polli.
Il tenace persistere della povertà su un pianeta travagliato dal fondamentalismo della crescita economica è più che sufficiente a costringere le persone ragionevoli a fare una pausa di riflessione sulle vittime collaterali dell'"andamento delle operazioni".
L'abisso sempre più profondo che separa chi è povero e senza prospettive dal mondo opulento, ottimista e rumoroso - un abisso già oggi superabile solo dagli arrampicatori più energici e privi di scrupoli - è un'altra evidente ragione di grande preoccupazione. Come avvertono gli autori dell'articolo citato, se l'armamentario sempre più raro, scarso e inaccessibile che occorre per sopravvivere e condurre una vita accettabile diverrà oggetto di uno scontro all'ultimo sangue tra chi ne è abbondantemente provvisto e gli indigenti abbandonati a se stessi, la principale vittima della crescente disuguaglianza sarà la democrazia. Ma c'è anche un'altra ragione di allarme, non meno grave. I crescenti livelli di opulenza si traducono in crescenti livelli di consumo; del resto, arricchirsi è un valore tanto desiderato solo in quanto aiuta a migliorare la qualità della vita, e "migliorare la vita" (o almeno renderla un po' meno insoddisfacente) significa, nel gergo degli adepti della chiesa della crescita economica, ormai diffusa su tutto il pianeta, "consumare di più". I seguaci di questo credo fondamentalista sono convinti che tutte le strade della redenzione, della salvezza, della grazia divina e secolare e della felicità (sia immediata che eterna) passino per i negozi. E più si riempiono gli scaffali dei negozi che attendono di essere svuotati dai cercatori di felicità, più si svuota la Terra, l'unico contenitore/produttore delle risorse (materie prime ed energia) che occorrono per riempire nuovamente i negozi: una verità confermata e ribadita quotidianamente dalla scienza, ma (secondo uno studio recente) recisamente negata nel 53 per cento degli spazi dedicati al tema della "sostenibilità" dalla stampa americana, e trascurata o taciuta negli altri casi.
Quello che viene ignorato, in questo silenzio assordante che ottenebra e deresponsabilizza, è l'avvertimento lanciato due anni fa da Tim Jackson nel libro Prosperità senza crescita: entro la fine di questo secolo "i nostri figli e nipoti dovranno sopravvivere in un ambiente dal clima ostile e povero di risorse, tra distruzione degli habitat, decimazione delle specie, scarsità di cibo, migrazioni di massa e inevitabili guerre". Il nostro consumo, alimentato dal debito e alacremente istigato/ assistito/amplificato dalle autorità costituite, "è insostenibile dal punto di vista ecologico, problematico da quello sociale e instabile da quello economico". Un'altra delle osservazioni raggelanti di Jackson è che in uno scenario sociale come il nostro, in cui un quinto della popolazione mondiale gode del 74 per cento del reddito annuale di tutto il pianeta, mentre il quinto più povero del mondo deve accontentarsi del 2 per cento, la diffusa tendenza a giustificare le devastazioni provocate dalle politiche di sviluppo economico richiamandosi alla nobile esigenza di superare la povertà non è altro che un atto di ipocrisia e un'offesa alla ragione: e anche questa osservazione è stata pressoché universalmente ignorata dai canali d'informazione più popolari (ed efficaci), o nel migliore dei casi è stata relegata alle pagine, e fasce orarie, notoriamente dedicate a ospitare e dare spazio a voci abituate e rassegnate a predicare nel deserto.
Già nel 1990, una ventina d'anni prima del volume di Jackson, in Governare i beni collettivi Elinor Ostrom aveva avvertito che la convinzione propagandata senza sosta secondo cui le persone sono naturalmente portate a ricercare profitti di breve termine e ad agire in base al principio "ognun per sé e Dio per tutti"non regge alla prova dei fatti. La conclusione dello studio di Ostrom sulle imprese locali che operano su piccola scala è molto diversa: nell'ambito di una comunità le persone tendono a prendere decisioni che non mirano solo al profitto. È tempo di chiedersi: quelle forme di "vita in comunità" che la maggior parte di noi conosce unicamente attraverso le ricerche etnografiche sulle poche nicchie oggi rimaste da epoche passate, "superate e arretrate", sono davvero qualco-sa di irrevocabilmente concluso? O, forse, sta per emergere la verità di una visione alternativa della storia (e con essa di una concezione alternativa del "progresso"): che cioè la rincorsa alla felicità è solo un episodio, e non un balzo in avanti irreversibile e irrevocabile, ed è stata/è/si rivelerà, sul piano pratico, una semplice deviazione una tantum, intrinsecamente e inevitabilmente temporanea?
(Questo brano è un estratto dalla nuova prefazione di Bauman alla nuova edizione di Modernità liquidità in uscita per Laterza)
giovedì 15 settembre 2011
Pianificazione e territorio
La Nazione, 4 settembre 2011
Sulla necessità di ridurre al minimo lo scellerato consumo di suolo, in particolare quello agricolo, a parole siamo ormai quasi tutti d’accordo. Non solo quindi gli “ambientalisti”, ma ogni persona di sano buonsenso, che abbia a cuore la terra, il paesaggio, la salute, l’agricoltura ed il turismo. Nessun politico intelligente e anche nessun illuminato imprenditore può pensare che sia proficuo costruire insediamenti artigianali non produttivi, zone industriali ipotetiche, nuovi porticcioli inutilizzati, aree residenziali mastodontiche e sovradimensionate - con la popolazione come ben si sa a crescita zero - senza consultare le più recenti indagini di mercato che spiegano le “tendenze” di oggi: dove va il turismo, cosa si chiede al commercio, quali le modalit‡ e le tipologie di produzione, le richieste del mercato immobiliare, il destino della nautica.
Oggi il paesaggio, la campagna, il territorio nel suo complesso (anche quello “privato”) devono essere percepiti e definiti come “beni comuni”, luoghi di cui tutti beneficiamo, appagano i nostri sensi, producono benessere sociale, sono un diritto per le generazioni future alle quali dovremmo lasciare la speranza di trovare in futuro un posto di lavoro, soprattutto nei settori del turismo, dell’agricoltura e dei servizi ad essi connessi.
Dalle colline e dai borghi del Magra tutti sostanzialmente vorremmo vedere "paesaggi", non solo case e capannoni industriali.
Ed è ormai dimostrato che l’Italia è il maggior consumatore di suolo vergine (e di cemento) d’Europa; b) tale consumo minaccia drammaticamente la nostra cultura (quella dei luoghi, delle opere d’arte e dell’archeologia), l’agricoltura ed il turismo.
Cosa chiediamo alle nostre amministrazioni che annaspano da anni nella crisi e si illudono che gli oneri di urbanizzazione siano sufficienti a scongiurare la bancarotta dei comuni? Che si ravvedano poiché in realtà si tratta solo di piccoli salvagente, galleggianti, ma temporanei e del tutto illusori col mare in tempesta.
Ci pare invece assai importante affrontare la questione insieme tecnica e politica dei piani regolatori. Pensiamo al Puc di Sarzana, da tempo scaduto, e non si sa per quale motivo, tenuto in vita a colpi di varianti ( o forse proprio per questo tenuto in vita) Ameglia e Castelnuovo: ne enumeriamo tre anche perché ognuno di essi strategico e collegato agli altri.
A Sarzana il P.R.G. scaduto ormai da tre anni non necessita soltanto di un naturale adeguamento tecnico e giuridico, ma culturale e di programmazione economica realistica. Esiste la necessità di pensare quale sia il futuro dell’urbanistica e quindi del vivere della intera nostra vallata, e per farlo c'è bisogno di una normale quanto attenta "pianificazione", discussa e partecipata, non delle solite furberie che lasciano spazi aperti per inserire progetti, permessi, licenze dell’ultim’ora.
Ma soprattutto, con il metodo delle varianti si cancella e compromette il ruolo della vera pianificazione urbanistica che mira ad un utilizzo migliorativo del territorio, non omologando le diverse aree (verdi, dismesse, residenziali, artigianali) per far posto a quelle commerciali: negando così i diritti di tutti a veder coniugato ambiente e lavoro, infrastrutture e partecipazione, viabilità e salute, zonizzazioni acustiche e benessere.
Gli ultimi grandi colpi di coda nati più dalle esigenze dei privati che dalla programmazione sensata delle amministrazioni (Botta, Tavolara, Bozi, Romito, Olmo, Marinella, Ameglia, con annesse infrastrutture) non sono più, e da tempo, in linea con gli orientamenti restrittivi dell’urbanistica regionale, hanno visto e vedranno ancora le associazioni sul piede di guerra. Ci auguriamo che le giunte locali diano un segno di vita socialmente, culturalmente, politicamente illuminata, adeguandosi ad una visione del territorio come “bene comune” per la difesa del paesaggio, come valore di storia, di memoria, di vera economia e anche come un diritto di futuro da non alienare dalle future generazioni.
Roberto Mazza
portavoce Movimento Stop al Consumo di Territorio
L'agricoltura al tempo della crisi è "verde": boom del biologico
Il cambiamento: dal virtuale al reale, 8 settembre 2011
"Mentre l'alimentare tradizionale arranca, il biologico continua la sua corsa anche nel primo semestre del 2011 (+13%), conquistando sempre piu' spazio nella Gdo. La conseguenza è una ristrutturazione nel sistema agricolo: in un anno diminuiscono i bioagricoltori, ma cresce la dimensione media aziendale. In piu' molti produttori diventano anche trasformatori e 'venditori'". Lo afferma, in una nota, la Cia-Confederazione italiana agricoltori alla vigilia del "Sana", il 23° Salone internazionale del naturale che si terra' a Bologna dall'8 settembre. "La crisi- aggiunge- non intacca l'appeal del biologico, che guadagna ancora spazio nel carrello degli italiani.
A dispetto della crisi dei consumi alimentari convenzionali, il segmento 'bio' continua a correre, mettendo a segno nel primo semestre del 2011 un aumento del 13%. Un dato - precisa la Cia - che conferma e rafforza il risultato record gia' toccato nel 2010, quando il 'bio' ha brindato al più 11,6%".
Per la confederazione "è chiaro, dunque, il definitivo passaggio del biologico da moda passeggera o 'di nicchia' a vera e propria abitudine di spesa, come evidenzia la presenza massiccia dei prodotti biologici nelle catene della Gdo. Solo tra gennaio e aprile, infatti -osservano la Cia e la sua associazione per il biologico Anabio - gli acquisti 'bio' crescono del 14,6% nei supermercati, dell'11,8% negli ipermercati e addirittura del 16,1% nei discount (+16,1%). Rubando quote di mercato alle botteghe di quartiere e ai negozi tradizionali, che invece perdono il 46,9% rispetto allo stesso periodo del 2010".
Secondo la Cia, a trainare la spesa 'bio' in questa prima metà dell'anno "sono sempre pasta e riso (+32,9%); latte e formaggi (+20,4%), in particolare mozzarelle (+82,7%); biscotti e dolciumi (+15,4%) ma senza il pane (-11,3%); uova (+13,4%)".
E anche il mondo produttivo "si adegua al 'boom' del biologico. Nel 2010 - fa sapere la Cia - il numero dei bioagricoltori diminuisce sì del 3,3% rispetto al 2009 (41.807 unità contro le 43.230 dell'anno precedente), ma contemporaneamente cresce sia la superficie totale dedicata (1.113.742 ettari rispetto ai 1.106.684 del 2009) sia la superficie media aziendale, che raggiunge i 26,6 ettari per azienda (+3,9% sul 2009) mentre la media nel convenzionale resta a 7,9 ettari".
Questo vuol dire che nell'ultimo anno c'è stata una sorta di "scrematura naturale - spiegano Cia e Anabio - che ha coinvolto prevalentemente le imprese di piccolissime dimensioni e le aziende meno strutturate, con una conseguente ristrutturazione del sistema in direzione di un superamento del fenomeno della polverizzazione".
Sempre nel 2010, "sono aumentati del 22% annuo i produttori agricoli che effettuano anche attivita' di trasformazione e vendita diretta - conclude la Cia - prediligendo il mercato breve e il rapporto diretto con i consumatori".
domenica 3 luglio 2011
I BOZI : LE ASSOCIAZIONI CONTRO UN PROGETTO “SURREALE”
La Nazione, 23/6/2011
Sarzana? Ancora al palo della cementificazione risolutiva, della svendita del territorio, delle aste, degli investitori benefattori: Tavolara, Colonia Olivetti, Progetto Botta, Social Housing, Olmo 2, Marinella. Ma ora ecco una nuova cordata (o cricca) pronta alla guida di un progetto “surreale”: boziland. Un mega progetto con mega investitori con mega idee, al servizio dei bambini, degli ecologisti e dei ricercatori di genetica! Già vediamo una mega gigantografia dell’ideatore, visibile dai borghi della vallata, ed una mega scritta:
Mannozziland
“Vi avremmo stupito con effetti speciali…” così cominciava una nota pubblicità di qualche anno fa, e così sembra prendere corpo l’ipotesi progettuale dei Bozi di Saudino a Sarzana, da quanto dichiarato dalla proprietà e dai progettisti sulla stampa il giorno 18 Giugno 2011.
La proprietà descrivendo situazioni ai limiti del fantascientifico, con laboratori all’avanguardia, addirittura interrati, e con eminenti professionisti e professori emeriti delle università di Pisa, Firenze, Bologna, Genova e Torino" esperti di genetica...? E quali gli enti o istituti di appartenenza? E con quali soldi soldi pubblici visto che in Italia non ci sono soldi per fare ricerca in medicina, il dott. Madrignani conosce qualche ente privato che vuol fare beneficenza per obbiettivi nobili? (o per fare soldi a spese dei cittadini e...del territorio?).
Quanti metri quadrati di territorio verranno cementificati per far posto al centro per la ricerca nelle malattie genetiche e altre meraviglie? "Un progetto che si avvicina alla fantascienza. Si studierà attraverso la genetica se un pazienze potrà avere malattie gravi nel corso degli anni, alcuni laboratori verranno costituti in un «bunker» scavati sottoterra”. E ancora “i progetti prevedono una clinica con annesso centro benessere e altre attività sempre di grande qualità": Bunker scavati sotto terra? Non abbiamo mai sentito parlare di centri benessere realizzati all'interno di centri di ricerca e di studio seri e qualificati sulle malattie genetiche o qualunque altra patologia.
Il progetto promette da due a trecento posti di lavoro, con un utilizzo di un milione di metri quadri, cioè una superficie tale che ci chiediamo che fine farebbe l’area umida, a quel punto …
Il Sindaco Caleo, pur non chiudendo subito la porta a un simile progetto, come farebbe qualsiasi sensato Amministratore conscio della realtà del proprio territorio, comunque rammenta che è un area “delicata”: aggiungiamo noi che se simile area “delicata” si è conservata quasi intatta, a parte qualche piccola discarica abusiva, è grazie alla sua relativa inaccessibilità e quindi alla scarsa presenza antropica (al massimo qualche bird watcher e qualche pescatore sportivo), il che ha permesso il prosperare di una fauna schiva che del disturbo umano non ne sente proprio il bisogno, e di questo dovrebbero esserne consapevoli sia il Comune che il Parco.
Quanto poi alle ricadute occupazionali, tasto a cui, in tempi di crisi, l’opinione pubblica è molto sensibile quindi facile da calcare, ci mostriamo assai perplessi su numeri che, appunto, ci appaiono sproporzionati per le dimensioni dell’area.
A prima vista l'ipotesi nasconde la realizzazione di un grande condominio commerciale con annesso micro parco giochi, scivolo e "officina genetica": ovviamente la superficie del parco sarà relativa ai soli specchi acquei!
Se davvero un progetto esiste esistono metodi e strumenti per diffonderlo e se è salvifico per la città e ha un valore è giusto parlarne apertamente.
L'iniziativa proposta da Mannozzi e dal suo gruppo è legittima, non è legittima e istituzionale quella del Sindaco: non ci si mette davanti al tavolo a discutere con interlocutori privati e con il PRG scaduto.
Si aprano le procedure per avviare il nuovo strumento urbanistico e solo dopo si verifichino compatibilità, relazioni, costi ambientali, territoriali, culturali e umani, ricordandosi comunque che il PUC deve adeguarsi al Piano di Parco perché è ad esso subordinato, e che le stesse varianti del Piano di Parco sono soggette a Valutazione d’Incidenza perché siamo in un SIC.
Vorremmo rammentare, in conclusione, che, vista la natura dell’area, una sola valorizzazione è possibile, quella conservazionistica dei valori naturalistici: soluzioni alternative condurrebbero solo alla distruzione dell’habitat, quindi alla fine dei Bozi come li conosciamo e come li valutano Naturalisti e Unione Europea.
Il Delegato Provinciale Della Spezia LIPU Paolo Canepa
Il Presidente Provinciale Della Spezia di Italia Nostra Serena Spinato
Il Presidente Regionale Ligure di Legambiente Stefano Sarti
Il portavoce del movimento “Stop al Consumo di Territorio” gruppo della Spezia e Val di Magra Roberto Mazza
Il Presidente Provinciale Della Spezia del WWF Giovanni Ponzanelli
OLMO 2: ANCORA E ANCORA CONSUMO DI TERRITORIO A SARZANA
La Nazione, 6/6/2011
Di Roberto Mazza e Silvia Minozzi
Di Roberto Mazza e Silvia Minozzi
Non sempre gli assessori all’ urbanistica hanno avuto anche la passione per l’ architettura contemporanea. L avvocato Bottiglioni si. Durante il suo settennato si è fatto l’impossibile per costruire il nuovo a colpi di varianti, e ancora molto si farà. È di questi giorni la comunicazione orgogliosa che la realizzazione dell’ennesimo quartiere residenziale in area agricola vedra’ presto la luce: all’inizio del mese di giugno inizieranno le opere per la ricollocazione dei sottoservizi esistenti (condutture Enel, Telecom, Acam) e nel prossimo mese di settembre il ponte sul Calcandola verrà demolito e ricostruito. E tutto questo per consentire la costruzione di 102 nuovi appartamenti (Il cosiddetto progetto OLMO 2) in un’area di “assoluta inedificabilità a causa della normativa vigente in tema di rischio idrogeologico”, come lo stesso Bottiglioni ha dichiarato. A nulla e’ servita, evidentemente, la disastrosa esperienza dello scorso dicembre, in cui abbiamo visto intere colline franare travolgendo case e strade, torrenti, fra cui proprio il Calcaldola, esondare allagando l’abitato; e tutto cio’ sicuramente a causa di precipitazioni particolarmente intense ma anche della mancata manutenzione dei boschi, la mancata pulizia delle tombinature, l’edificazione selvaggia in zone franose o alluvionabili.
Il motivo di tanta impopolare ostinazione sfugge, considerato che rispetto ai suoi predecessori l’Assessore ha avuto la più forte opposizione popolare dopo il dopoguerra (progetto Botta), e il vento (civile) contro. Non solo quello degli ambientalisti, ma anche degli intellettuali (ricordiamo le lezioni di Romano e Settis al Festival della Mente). Considerata l'insistenza degli urbanisti nazionali sul disastro territoriale, gli appelli di Carlo Petrini per la salvezza dei terreni fertili, e ora anche la 'nuova sinistra', costituitasi a Milano intorno a Pisapia, che sta dichiarando guerra alla cricca dei palazzinari senza scrupolo guidati dalla Moratti. E a Sarzana? Tavolara, Colonia Olivetti, Progetto Botta, social boudoir, Olmo 2, Marinella.
Quaranta cittadini protestano, certo. Ma cosa sono quaranta cittadini rispetto alla realta’ incontrovertibile di un territorio che viene devastato, violentato, irrimediabilmente distrutto per null’altra ragione se non quella di intascare, come sempre, gli oneri di urbanizzazione? E non ci aveva promesso il nostro Sindaco, in piu’ occasioni pubbliche, “le aree da utilizzare per creare nuovi insediamenti ci sono; basta consumare ulteriore territorio, bisogna puntare al recupero e ristrutturazione dell’esistente”
L’assessore verrà ricordato insieme al suo capoufficio tecnico e al suo sindaco come quel (ultimo) gruppetto della sinistra che ha inferto l’ultimo grande colpo alle meraviglie del paesaggio locale.
domenica 8 maggio 2011
Italia Nostra:”Sui Parchi Burlando usa metodi da cricca”
La presa di posizione di Giovanni Gabriele, consigliere nazionale di Italia Nostra, sul rinnovo dei Consiglieri del Parco di Montemarcello.
Inviata a Marco Preve, e pubblicata su Trenette e Mattoni, storie di cemento in Liguria
LO STATUTO PIOVUTO DALL’ALTO
Mercoledì 30 aprile sarà votato, per essere approvato, il nuovo statuto del Parco di Montemarcello Magra.
Come consigliere uscente dell’Ente Parco e rappresentante delle associazioni ambientaliste che hanno concorso in modo determinante all’istituzione dei parchi regionali in Liguria, adoperandosi per la loro salvaguardia e funzionamento nel corso degli ultimissimi decenni, non posso concordare con la scelta operata dall’amministrazione Burlando. Approfittando della riduzione a 5 dei membri del consiglio direttivo di ciascun parco e interpretando in modo errato la disposizione finanziaria statale dell’estate 2010, si impone agli enti parco uno statuto-tipo che rischia di estromettere per sempre gli ambientalisti dai consigli direttivi dei parchi, ove spesso rappresentano l’unica voce a favore di scelte per la salvaguardia del territorio e dell’uso pertinente dei fondi assegnati alle aree protette.
Dei cinque componenti del nuovo consiglio direttivo, tre andrebbero ai comuni rappresentati nella comunità, uno alla regione, ed il quinto, pure designato da un numerosa ed eterogenea comunità del parco dovrebbe esprimere non meglio identificati “interessi generali”. Senza specifiche più stringenti rischiamo di avere parchi a gestione consortile tra comuni, con presidenti privi di alcun requisito professionale in materia.
La Regione non può imporre statuti tipo agli enti parco togliendo gli ambientalisti dai consigli direttivi senza chiarire chi sarà questo fantomatico “quinto componente” che deve rappresentare “interessi generali”. La Comunità del Parco non permetterà mai che una persona designata dalle associazioni di protezione ambientale entri nel Consiglio.
Ritengo che la procedura allestita dalla Regione Liguria sia illegittima e ci sono tutti gli elementi per sollevare la questione di costituzionalità della l.r. 16/2010 quando vengono imposti statuti tipo scritti dalla stessa Regione.
L’art. 1, comma sesto, della L.R. Liguria 16/2010, che sostituisce il comma primo dell’art. 13 della L.R. Liguria 22/2/1995 n.12, attribuisce impropriamente alla Giunta Regionale il compito di approvare uno “schema tipo” di Statuto per tutti gli enti parco, il quale definisca gli obiettivi di attività dell’ente, normi la sua organizzazione e determini le attribuzioni dei suoi organi nonché l’ordinamento degli uffici del parco regionale stesso.
Ciò appare in netto contrasto con quanto disposto dall’art. 24 della legge quadro statale sulle aree protette 6/12/1991 n. 394, che attribuisce a ciascun ente parco regionale, e non alla Regione, la potestà di approvare il proprio Statuto, inclusi i contenuti sopra menzionati.
Credo che si debba sostenere che lo Statuto-tipo approvato recentemente con delibera di giunta regionale non doveva essere un testo da scopiazzare pedissequamente (altrimenti non si capirebbe perché poi deve formalmente adottarlo il parco), ma una serie di “paletti” e di indicazioni generali i cui spazi “lasciati vuoti” potevano e dovevano essere riempiti dal singolo ente secondo le proprie specificità.
In conclusione, pur rispettando alcune disposizioni di carattere generale, il singolo parco avrebbe dovuto dettagliare meglio:
i requisiti del presidente che devono restare quelli di competenza oggi fissati; diversamente il presidente potrà essere chiunque, senza alcun titolo amministrativo o di competenza sulla materia aree protette.
Va inoltre chiarito chi e’ il soggetto che rappresenta gli interessi generali, proponendo che sia un esponente designato dalla maggior parte delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal ministero dell’ ambiente presenti in Liguria.
La comunita’ del parco non può essere elefantiaca e pletorica con al suo interno boscaioli, cacciatori, artigiani e altri che poco c’entrano con l’ente parco.
Infine nello statuto proposto spariscono i compiti del direttore.
Per quanto esposto ritengo quanto segue:
1. Cinque membri del Direttivo sono pochi. Era opportuno portarli almeno a sette, in nome di una rappresentività pluralistica.
2. Ridurre la componente tecnico-ambientalistica ad un poco probabile solo consigliere significa mortificare il carattere tecnico gestionale dell’Ente.
3. Il consiglio direttivo deve avere in sé competenze tecnico professionali e non rappresentanti degli interessi particolaristici e localistici.
4. La nomina del presidente da parte della Regione è un atto di prepotenza inacettabile, si nega di fatto il principio di vera democrazia che chi presiede venga eletto dai preseduti.
5. Ancora una volta la cricca politica, in questo caso il centrosinistra di Burlando, vuole mettere le sue mani dappertutto e su tutto, per imporre unilateralmente e senza un vero dibattito, le proprie mire e i propri intendimenti.
Per quanto sopra esprimerò voto contrario alla proposta di modifica allo statuto dell’Ente Parco di Montemarcello – Magra così come proposto o meglio imposto dal DGR n. 66 del 28.01.2011 e soprattutto dal suo presidente.
Giovanni Gabriele
Consigliere uscente del Parco di Montemarcello Magra
Consigliere Nazionale di Italia Nostra
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