domenica 5 dicembre 2010

La Spezia Avvelenata

Il Manifesto, 21 novembre 2010
Andrea Palladino

Dopo 14 anni si avvicina alla sentenza il processo per la devastazione della collina di Pitelli, sopra il golfo di La Spezia. Una zona grande quattro volte Porto Marghera, per anni sommersa di ogni genere di rifiuti industriali

LA SPEZIA. In quattordici anni il mondo è cambiato. Tre guerre, l'11 settembre, due governi Berlusconi, Prodi, D'Alema e ancora Prodi. Quattordici anni è la durata del processo per la devastazione di una collina sul Golfo di La Spezia, Pitelli, forse la più grande discarica industriale italiana. Un tempo che serve l'impunità di fatto assoluta per il traffico dei rifiuti pericolosi in Italia, che la Cia stimava in 80 milioni di tonnellate negli anni '90 e che oggi quasi nessuno conta più. Ovvero quella sorta di impunità che ha riguardato gran parte delle inchieste per le rotte dei veleni dell'Italia degli ultimi decenni. Archiviati i processi per la nave Rosso spiaggiata ad Amantea, archiviati i processi per le navi a perdere, senza colpevoli e, soprattutto, senza mandanti gli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi in un agguato mentre seguivano le tracce dei traffici di rifiuti verso la Somalia. Prescritto il processo contro i responsabili dei viaggi delle navi dei veleni degli anni '80, quando l'Italia esportava tonnellate di scorie verso l'Africa e il Sud America. E ora il processo di Pitelli, vicino alla sentenza di primo grado dopo più di un decennio di udienze e prossimo alla prescrizione.

Nell'auletta della sezione penale di La Spezia sono passati quasi una trentina di imputati, decine di avvocati, almeno due generazioni di magistrati. E la storia di una città, simbolica e volutamente dimenticata.

Il sistema Duvia

Nell'ultima udienza dedicata alla discussione delle parti civili l'avvocato Roberto Lamma, per Legambiente, ha ricostruito pezzo dopo pezzo il sistema di Orazio Duvia, il dominus di Pitelli: «C'è una strategia di fondo in questa storia che si basa sull'opacità del sistema di gestione dei rifiuti. Una strategia del fatto compiuto». Ed è questa la chiave che può spiegare perché ancora oggi la gestione delle scorie industriali e perfino della comune monnezza è un'eterna emergenza e il miglior business italiano. Era l'agosto del 1976 quando Orazio Duvia chiese in sostanza di poter sistemare la collina di Pitelli - che per il piano regolatore era interamente destinata a verde, con un valore paesaggistico vincolante - buttando qualche rifiuto inerte. Qualche calcinaccio, un po' di sabbia, tutta roba innocua, giurava. «Poi va oltre - ha raccontato Lamma - e arriva il fatto compiuto». A Pitelli scaricano camion di rifiuti di ogni genere, mentre il Comune di La Spezia si preparava ad accettare quel fatto compiuto, architrave del sistema Duvia. Il principio che andrà avanti fino al 1996 sarà sempre lo stesso: prima vengono sversati i rifiuti, poi Comune e Provincia sanano il tutto, con autorizzazioni ex post.

Il risultato del sistema Duvia è ora quell'enorme area contaminata che sovrasta il golfo dei poeti. «Una zona grande come quattro Porto Marghera messe insieme - sottolinea l'avvocato di Legambiente - ovvero il secondo sito d'interesse nazionale dopo l'Acna di Cengio». Una devastazione che forse non ha eguali nella storia italiana e che ora sarà impossibile risanare.

Un'incredibile coincidenza

Gli anni '80 e i primi anni '90 sono stati i peggiori. Il traffico dei camion carichi di scorie industriali aumentava mese dopo mese, riempiendo quattro crateri. La prima buca, la più antica, che non ha mai avuto un isolamento dal terreno e dalle falde acquifere venne coperta con altri tre invasi, messi uno sopra l'altro, come in una torre devastante per l'ambiente del golfo di La Spezia. Oggi è impossibile andare a vedere cosa è nascosto in quella prima fossa e riuscire a risanare è un'impresa senza nessuna possibilità di successo. Le conseguenze colpiranno intere generazioni, per decenni.

Alla fine del 1984 il pretore di La Spezia Attinà firmò quello che fu l'unico sequestro - fino al 1996, data della chiusura della discarica - dell'enorme invaso di Pitelli. Oggi l'anziano magistrato ricorda ancora quegli anni. «C'erano degli evidenti abusi e per me fu naturale ordinarne la chiusura», spiega. «Dopo poco passai al giudicante - ricorda - e un altro magistrato dispose la riapertura». Salta così agli occhi una incredibile coincidenza, temporale ma significativa. La chiusura momentanea della discarica di Pitelli - dal 1984 al 1986 - coincide chirurgicamente con l'epoca dei viaggi delle navi dei veleni, che iniziarono a caricare i rifiuti tossici dell'industria del nord Italia sulla banchina del porto di Marina di Carrara, distante pochi chilometri da La Spezia. Coincidenze? Forse, ma sembra evidente che le rotte dei veleni rispondessero ad un'unica regia, rimasta ancora oggi oscura.

Il sistema di corruzione

Non è possibile capire il caso Pitelli senza guardare quella sorta di libro mastro delle tangenti trovato negli uffici di Orazio Duvia durante le perquisizioni ordinate dal Pm di Asti Luciano Tarditi nel 1996. C'erano politici, funzionari pubblici, militari, decine di persone pagate dal re delle scorie di Pitelli. «Tutti reati oggi prescritti - spiega l'avvocato Roberto Lamma - ma necessari per capire storicamente quello che è accaduto». Ed è significativo l'episodio che Roberto Lamma ha ricordato nella sua ricostruzione dei fatti: «Questo foglio battuto a macchina è il primo esposto che presentammo come Legambiente nel 1988», spiega al collegio mostrando le pagine ormai ingiallite, simili alle antiche veline usate dai dattilografi. Un esposto dettagliato, minuzioso che avrebbe potuto fermare la distruzione della collina di Pitelli forse al momento giusto. Peccato, però, che quel fascicolo sparì. «Quando iniziammo l'inchiesta - ricorda Benito Castiglia, oggi comandante del Corpo forestale dello stato di La Spezia - la prima cosa che facemmo fu di verificare tutti i procedimenti a carico del gruppo di Orazio Duvia». Nel registro c'erano le tracce dell'esposto del 1988, ma tutte le carte erano sparite dai locali del Tribunale. Una minima parte del fascicolo venne ritrovato a casa di uno degli arrestati, ma non fu possibile ricostruire le eventuali complicità all'interno del palazzo di Giustizia. L'unica imputazione non prescritta è la più grave, il disastro ambientale doloso. Arrivare alla condanna è fondamentale per, almeno, stabilire una verità storica, per chiudere con dignità questa pagina terribile della storia della città di La Spezia. Ma soprattutto dovrà servire per rompere la lunga catena dell'impunità, quella sorta di licenza ad inquinare che ancora oggi è la principale causa della devastazione ambientale in Italia.

Pensando al bene sociale. I ricordi di chi ha lavorato nella struttura della ex Colonia Olivetti

La Nazione, 16 novembre
Roberto Mazza, professore di Psicologia sociale e di Servizio sociale all’Università degli Studi di Pisa



Nel 1980 lo stato della Colonia Olivetti (ex Gil) era ancora in condizioni perfette. Ogni anno alcuni operai e giardinieri provvedevano a mantenerla con ordinarie manutenzioni, controlli e piccoli restauri, pitturazioni, sistemazioni infissi, giardinaggio e potature della pineta. Le varie maestranze assicuravano alla struttura il dovuto decoro e la sicurezza necessaria per poter ospitare ogni anno centinaia di figli di operai e di impiegati (età compresa tra i 6 e gli 11 anni), che raggiungevano Marinella da Ivrea. Da giugno a settembre la colonia si popolava, come un vecchio e prestigioso albergo della riviera, con centinaia di piccoli ospiti, venti educatori, direttori, economi, magazzinieri, camerieri, inservienti, perfino uno psicoanalista che di tanto in tanto giungeva da Firenze per supervisionare i gruppi di operatori. La funzione psico-socio-pedagogica (ma anche di prevenzione sanitaria) della colonia rispondeva a quella filosofia sociale cara ad Adriano Olivetti di voler garantire ai figli dei dipendenti (anche a chi non avrebbe potuto permetterselo) vacanze salutari, socializzazione, gioco, educazione, investendo una parte dei profitti dell’azienda in servizi sociali. In quegli anni ero tra i tanti giovani “monitori” selezionati ed addestrati da Olivetti nei centri Cemea, prestigiose scuole di formazione di gruppo sorte in Francia durante la resistenza, e prosecutori di una grande tradizione di esperienze di approccio democratico e partecipativo, secondo i principi di educazione attiva e col contributo dei modelli psicoanalitici applicati alla pedagogia. Per conto di Olivetti, Lia e Cesare Godano gestivano a Ponzano Magra, in una bella villa liberty (ora circondata dagli obrobri delle giunte palazzinare), uno dei centri di formazione residenziale in questa prospettiva.

La colonia offriva quindi lavoro a circa venti educatori, di cui 4 maschi e 16 femmine. I rapporti “affettivi” tra gli educatori erano vietati da norme implicite, ma severamente tramandate. Nessuno trasgrediva, almeno dentro la struttura. Come dovrebbe accadere in ogni “comunità” rispettabile, regole e rigore erano essenziali per lo svolgimento al meglio delle attività per cui eravamo destinati, e per il buon funzionamento dei gruppi. Vitto e alloggio erano straordinari. Gli stipendi ottimi. Con il primo mi pagai un mese di soggiorno-studio a Londra.

Ogni sera la severa direttrice – messi a letto i bambini - ci accudiva con sorbetti, gelati e frutta, ricompensandoci delle fatiche diurne. Le ultime ore della serata erano passate in giardino di fronte al mare o nella terrazza fantastica fronte mare, che il regime già destinava all’elioterapia. Si trattava di una struttura già estremamente funzionale, con pochissime barriere architettoniche, grandi saloni ben divisi e servizi accessibili. Il rapporto colonia-spiaggia-pineta era perfetto. Dal giardino si accede infatti direttamente alla spiaggia. Lato monti invece la pineta assicurava ai bambini ore di gioco tranquille e fresche nelle ore pomeridiane. Ci si può solo immaginare cosa fosse Marinella prima dei palazotti a mare, e prima ancora che costruissero gli edifici che separano la tenuta dalla pineta, e prima che venisse pensata “Luni mare”. I deboli, anche se plausibili motivi, per cui i fossati di Sarzana vennero riempiti di palazzotti, qui a Marinella non trovano alcuna sensata giustificazione. Le poesie di Corrado Martinetti e qualche immagine d’epoca possono farci capire la portata del disastro.

Curiosamente Gil, nata nel ventennio per assicurare il benessere delle generazioni future ma anche la cura e la prevenzione del rachitismo diffuso negli anni 30, e assicurare a molte famiglie sollievo e cure (anche alimentari) altrimenti impensabili, proseguiva con l’esperienza di Olivetti, ripulita degli elementi ideologici del Littorio e ridefinita nei termini di una esperienza innovativa da un punto di vista psicopedagogico, che includeva peraltro anche consulenza sanitaria, dietologica e prevenzione odontoiatrica. L’attenzione e l’approccio rivoluzionario di Adriano Olivetti ai servizi sociali è ancora oggi argomento di convegni e monografie. La lungimiranza ed avanguardia del Centro Studi di Ivrea è assai nota, e già dal dopoguerra, si annoveravano tra i consulenti giovani studiosi come Francesco Alberoni e Franco Ferrarotti, psicoanalisti del calibro di Cesare Musatti, pedagogisti e giuslavoristi di fama internazionale. Anche la colonia di marinella era un esemplare di questo modello ideale di gestione aziendale, democratica, partecipata, innovativa.



Ma la full-immersion di quei mesi estivi passati a soli vent’anni, 24 ore su 24 in colonia, scandita da lavoro, riposo, recite, responsabilità per i bambini, sieste pomeridiane, bagni, serate in terrazza, profumi, silenzi, canti di gruppo, paesaggi, aquiloni, tramonti, evoca inevitabilmente, insieme alle molte emozioni, alcune importanti riflessioni sugli usi, abusi e trascuratezze dei beni pubblici , i nostri beni comuni importanti e belli, come questo. La scarsa considerazione ed attenzione al loro mantenimento e cura svela disattenzione e nessun rispetto per i beni culturali da parte delle amministrazioni di oggi, che si spinge in taluni casi al disprezzo della nostra storia (Salvatore Settis ci ha spiegato come durante il ventennio ci fosse maggior sensibilità alla tutela dei beni culturali e paesaggistici di quanta ve ne sia oggi). Ma anche l’incapacità di percepire o di inventare modi diversi per produrre cultura e forse anche lavoro, attraverso nuove forme d’uso di tali beni e differenti approcci turistici ai nostri luoghi.

Il degrado della struttura, avviato dagli anni 80 ad oggi (e per cui ci stiamo mobilitando), se ancora protratto porterebbe inevitabilmente a definirne lo stato di abbandono e di definitiva irrecuperabilità di questa opera, offrendo il solito interessante boccone ai costruttori sempre attenti verso “aree di prestigio degradate” ed alle amministrazioni comunali e regionali con le casse esangui, ed in cerca di nuove entrate.

Ma il mio stupore è suscitato sempre più spesso dai comportamenti degli amministratori locali e dalla loro attenzione quasi ossessiva ai nuovi piani edificatori, alle varianti, alle licenze facili, ai centri commerciali; viceversa una totale mancanza di attenzione al recupero ed al riordino degli spazi pubblici, al disinteresse per possibili aree archeologiche, alla manutenzione dei beni culturali, di cui anche i paesaggi sono parte consistente, ma considerati evidentemente solo un peso assai oneroso: ne è esempio la colonia, ma anche villa Ollandini e quello che era il suo meraviglioso giardino, la fortezza di Sarzanello, la vecchia strada ciottolata che conduce alla Fortezza Castracani, l’ospedale San Bartolomeo, il meno prezioso palazzo neogotico, sede del Canale Lunense, la cui facciata è offesa da quindici anni di totale incuria, il cui manufatto era probabilmente così solido che capriate esterne e tapparelle in legno tuttora resistono allo spregio di gronde e pluviali bucati che le innondano di acqua per interi inverni. E molti altri preziosi manufatti che costituicono le vere risorse inestimabili del nostro territorio.



Non sono tempi facili, ma avremmo bisogno di imprenditori e amministratori che come, Adriano Olivetti, non investissero solo per i propri interessi personali. Ci mancano imprenditori e amministratori illuminati, che guardino al futuro dei giovani, che abbiano fantasia e coraggio, che investano sul tempo, sull’equità e sostenibilità degli interventi, sulla cultura, sul turismo. La via del mattone, come quella dei centri commerciali sulle aree vergini, è la più facile, scontata, corruttibile, ha tempi brevi, distrugge l’appeal del nostro territorio, produce profitti per pochi, offre lavoro edile a termine, promette alle famiglie l’impiego per centinaia di commessi part-time, senza formazione e quindi con limitatissime prospettive per il futuro.


giovedì 7 ottobre 2010

POSTI BARCA, PENSARE AI LIMITI

Fonte: http://www.regione.liguria.it/

Burlando all'inaugurazione del cinquantesimo Salone Nautico invita a riflettere sull'opportunità di aumentare ancora la capacità dei porticcioli liguri.

Il convegno inaugurale del cinquantesimo Salone Nautico di Genova è stato tra i più interessanti che io ricordi, come contenuti. Le riflessioni avviate da tutti i relatori meritano di avere un seguito nelle prossime occasioni e nelle sedi più opportune.

La nautica è una grande risorsa per la Liguria, sia per i cantieri che hanno una grande tradizione sia per il turismo. Ma i cantieri sono in crisi, e anche i posti barca non si vendono con la stessa facilità di qualche anno fa. Ho incontrato non molto tempo fa la vedova di un imprenditore che ha fondato un piccolo cantiere negli anni sessanta. Lei ha preso il timone dell'azienda e ha continuato. Mi diceva: costruivamo venticinque barche all'anno, ora abbiamo ordini per cinque. Però resisto, non ho licenziato nessuno e non voglio farlo.

Ecco, è questa "resistenza" che vorrei sostenere con tutte le forze. Soprattutto in un periodo di crisi dobbiamo salvare la produzione. Se la Liguria (come il resto d'Italia) perde la produzione industriale muore. Sono il settore primario e il secondario che producono ricchezza, gli altri, che pure hanno un ruolo importantissimo, la ridistribuiscono solamente. Se perdiamo la capacità di produrre, quando finirà la crisi cosa faremo?

Se riguardo alla cantieristica penso solo a come incentivarla e a non perdere il patrimonio di impresa, di indotto e di professionalità del territorio ligure, riguardo ai porticcioli comincio invece a pensare che sia ora di porsi un limite. Negli ultimi dieci anni siamo passati da 14.000 a 25.000 posti barca in Liguria. E i progetti per aumentarli ancora non mancano. Un incremento eccessivo, che non corrisponde a un incremento proporzionale nel resto d'Italia.

Il Ministro Matteoli ha detto che siamo ancora indietro rispetto alla Francia. Ma a livello nazionale, appunto: cominciamo a pensare che in Liguria lo spazio per nuovi posti barca è pressoché esaurito. Non si tratta solo di un problema ambientale e paesaggistico, che pure è rilevante: si tratta anche di lasciare il mare ai liguri, ai tanti che possono permettersi solo un gozzo o neanche quello, e che pure per tradizione vivono il mare e vorrebbero viverlo come potevano fare i loro nonni.

Certo, un posto barca in Liguria è prezioso, è appetibile per il mercato. La Liguria è il naturale sbocco al mare del Nord Ovest ricco e quindi di tanti proprietari di barche di lusso. Ed è una meta di prestigio per gli appassionati di nautica. Ma il prestigio bisogna anche saperlo conservare, e non sembra una buona strada consentire una proliferazione indefinita dei posti barca e diminuire, di conseguenza, lo spazio per la fruizione libera della costa. Se dobbiamo aumentarli ancora diamo la precedenza alla nautica sociale e stoppiamo il resto.

Certo, bisogna fare delle scelte. C'è il tempo di farle in una direzione, c'è il tempo in cui bisogna avere il coraggio di fermarsi e cambiare. Quando è stata costruita la Fiera di Genova, che in breve è diventata teatro di questo magnifico Salone che è arrivato alla cifra tonda del mezzo secolo, la mia vecchia zia era triste perché le avevano tolto i bagni Strega, che erano da sempre il suo stabilimento balneare. Eppure chi ha costruito la Fiera ha dato prova, oggi lo possiamo dire, di grande lungimiranza. La Fiera e il Salone sono stati fondamentali per Genova e per la Liguria.

Invece qualche posto barca in più, dopo che li abbiamo quasi raddoppiati in dieci anni, sarà così fondamentale? O non rischia piuttosto di compromettere quegli stessi equilibri delicati e preziosi su cui si basa la competitività del nostro turismo? Pensiamoci.

domenica 26 settembre 2010

URBANISTICA NO AI MEGA PROGETTI DAL MOVIMENTO «STOP CONSUMO DEL SUOLO»

Fonte: La Nazione, 23/9/2010

ASSEMBLEA NAZIONALE


Ambientalisti e comitati al lavoro 2 giorni in Cittadella sullo «sviluppo sostenibile»


COME fermare la cementificazione e la distruzione del territorio? Come dimostrare a tutti, in primis agli amministratori, che un altro sviluppo è possibile? Queste e altre domande hanno animato gli «stati generali» del movimento «Stop al consumo di territorio», che ha tenuto la sua assemblea nazionale a Sarzana lo scorso fine settimana. Oltre 300 persone hanno partecipato, dibattendo per ore di tutela del paesaggio e sostenibilità ed ascoltando le denunce e le relazioni di tecnici, associazioni, comitati e rappresentanti del mondo dell’ambientalismo provenienti da tutta Italia. Al centro della discussione ovviamente le grandi istanze locali, come Marinella, Progetto Botta, Calata Paita, ma anche Santo Stefano col suo territorio «martoriato, coperto di rifiuti, case, shopping-centers, containers». Ospiti illustri come i presidenti nazionali di Legambiente e Slow Food, urbanisti, giornalisti si sono alternati agli interventi di semplici cittadini. «Purtroppo il nostro territorio continua a sfornare idee deliranti — il commento di Roberto Mazza, il portavoce spezzino di «Stop al consumo» — il grande outlet a Brugnato, i capannoni in Val Graveglia, campi da golf in Val di Vara, una darsena di proporzioni enormi sul Magra, 83.000 mq di abitazioni a Fiumaretta e Marinella... Le amministrazioni anziché investire sul turismo sostenibile sognano centri commerciali, zone artigianali, capannoni, terze corsie, grandi alberghi e fingono di non conoscere i dati sul declino dei grandi outlet, la crisi della nautica, la sovrabbondanza di alloggi sfitti. Come fare a fermarli, a distogliersi dall’equazione cemento-sviluppo-lavoro, prima che sia troppo tardi?» Molti i temi affrontati durante il convegno: da come misurare il consumo di suolo con Google Maps, alla sofferenza psichica causata dalla cementificazione. La domenica pomeriggio è stata dedicata alla realtà locale, con particolare attenzione al Progetto Marinella. Silvia Minozzi e Roberto Mazza, coordinatori del gruppo spezzino, hanno ribadito che non è intenzione del movimento opporsi in modo radicale al progetto ma proporre linee progettuali alternative che puntino su un turismo a misura della vallata, con connessioni agrituristiche, enogastronomiche, culturali ed archeologiche. Su questi temi numerosi interventi fra cui quello di Piero Donati, della Soprintendenza ai beni culturali, di Ennio Salamon, presidente della Doxa, dell’architetto Silvano D’alto, dei rappresentanti dei GAS locali e di Giovanni Gabriele, presidente della sezione spezzina di Italia Nostra. Insomma, «Stop al consumo» non molla, e come deciso all’unanimità durante l’assemblea, resterà un movimento aperto a tutti, privo di struttura formale ed estraneo a qualunque legame con partiti politici. Una rete di comunicazione aiuterà i comitati aderenti a far fronte comune per le prossime battaglie. Soddisfazione, quindi, per l’incontro di Sarzana con un unico rammarico: quello di non aver potuto trasmettere in diretta web (come era stato annunciato) i lavori dell’assemblea. «Ci scusiamo con chi sabato ha cercato di collegarsi — si legge nel sito web www.stopalconsumoditerritorio.it —ma le connessioni della Fortezza Firmafede si sono rilevate una autentica... Fortezza anche per le nostre capacità».



A MARE GLI OPERAI ARRIVANO GLI YACHT Fincantieri: via 2500 posti, meglio il cemento

Fonte: Il fatto Quotidiano, 21/9/2010

Di Ferruccio Sansa

Addio a Rex, Andrea Doria e Michelangelo. Fincantieri punta sul mattone. La sirena da decenni ogni mattina annunciava l’inizio del turno di lavoro. Migliaia di tute blu entravano nei cantieri. E le navi, alte come grattacieli, crescevano davanti alla città. Transatlantici capaci anche di conquistare il Nastro Azzurro, diventati in passato il simbolo dell’Italia. Così come, all’opposto, la decisione di Fincantieri di tagliare 2.480 posti è la fotografia di un Paese in crisi. Addio, lo storico cantiere di Sestri Ponente sarà riconvertito. Riva Trigoso e Castellammare di Stabia saranno chiusi. Si punterà sull’Adriatico, Monfalcone e Marghera.


Un maremoto per una delle industrie italiane d’eccellenza: la cantieristica. Una decisione che, però, nasconde retroscena inediti. In Liguria c’è chi, senza voler comparire, dà una lettura politica della decisione: “È il riflesso della scomparsa di Scajola dalla scena e del trionfo del Carroccio. I cantieri si concentrano sull’Adriatico, dove governa la Lega, così si puniscono le regioni di centrosinistra”.


Chissà. Ma a leggere le 50 pagine della bozza del “Piano Industriale 2010-2014 Fincantieri” presentato all’azionista Fintecna c’è un altro punto che colpisce: i cantieri lasciano posto al cemento. In un periodo di crisi per il settore navale, meglio puntare su un’attività più sicura. Forse le casse di Fincantieri ne trarranno beneficio, ma per Genova sarà una sberla in faccia: per i posti di lavoro persi, ma anche perché si disperde un patrimonio unico di competenza e tecnologia. Eppure Fincantieri punta in quella direzione: i cantieri di Castellammare di Stabia e Riva Trigoso saranno dismessi. Non solo: per aumentare esponenzialmente il valore delle aree saranno realizzate operazioni immobiliari.

lunedì 6 settembre 2010

Festival della Mente / LIGURIA DIVORATA DAL CEMENTO

Fonte: Il Secolo XIX 4/11/2010
Renzo Parodi

Salvatore Settis a Sarzana punta il dito sulle devastazioni del territorio: «Un posto barca ogni 30 abitanti. Così si va alla rovina»


RAPALLIZZAZIONE
La definizione giornalistica di “rapallizzazione”, nata negli anni Sessanta,è entrata nei vocabolari italiani per definire gli scempi edilizi di cui la città ligure fu per molto tempo un emblema

MARINELLA
Polemiche a Sarzana per il “progetto Marinella”. Per chi lo sostiene, rappresenta un’occasione per dare dignità alle attività e alle popolazioni di Marinella e Fiumaretta, colata di cemento per gli ambientalisti


MARGONARA
Durissimo nei mesi scorsi il confronto sul progetto firmato dall’architetto Massimiliano Fuksas, poi accantonato, per la realizzazione di una torre al porto turistico della Margonara a Savona


LA MENTALITÀ
«Chi ha i soldi ritiene che la maniera migliore per investirli sia nel mattone»

SARZANA. «Uno studio prevede che in Liguria ci sarà un posto barca ogni trenta abitanti.Siamo sicuri che vivremo decenni e secoli di ricchezza sempre maggiore e più diffusa, nei quali tanta gente potrà permettersi di acquistare una barca? O stiamo per caso togliendo le spiagge ai poveri per darle ai ricchi?».

Il professor Salvatore Settis ha appena concluso la sua lectio magistralis al Festival della Mente di Sarzana. Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, docente di Storia dell’arte e di Archeologia classica.Fino ad un anno e mezzo fa è stato presidente del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici presso il ministero dei Beni Culturali, ma si è dimesso in polemica con il ministro Bondi. Settis ha intrattenuto la platea su “Paesaggio come bene comune, bellezza e potere”.
Professore, la Liguria come epitome della devastazione del territorio?
«Come dicevo la Liguria è stata martirizzata dal cemento, ha subito un assalto molto duro al suo territorio che avrebbe richiesto viceversa scelte nel segno della delicatezza».
Che cosa ha cambiato l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura?
«Intanto non direi che dovunque si riscontri lo stesso atteggiamento di incuria verso il territorio che si riscontra in Italia. Gli italiani si erano distinti in passato per la cura del paesaggio e oggi si distinguono nel distruggerlo. E la Liguria è la regione con il più alto consumo di suolo nel Paese. Credo che questa sia dovuto ad una mentalità arcaica, che sopravvive. Chi ha i soldi ritiene che la maniera migliore per investirli sia nel mattone. Si ha paura di rischiare i propri soldi in investimenti produttivi di altro tipo, a maggior rischio. E non ci si rende conto che l’investimento in edilizia è a rischio altissimo. L’Italia è il Paese col tasso di crescita demografica più basso d’Europa e col più alto indice di sfruttamento del suolo d’Europa».
Una contraddizione evidente
«Molto evidente. Non ci ricordiamo, perché purtroppo siamo molto provinciali, che la crisi grande mondiale nella quale siamo immersi fino al collo è nata dalla bolla della speculazione immobiliare degli Stati Uniti, a causa di un eccesso di costruzioni e di un eccesso di prestiti legati alle costruzioni. In Italia stiamo ripetendo gli stessi errori, come se si potesse fare una cura omeopatica, gonfiando una bolla immobiliare nostrana per curare la bolla immobiliare degli Stati Uniti. Tutto questo ci sta portando alla rovina e mi sembra che siamo molto restii a capirlo».
Chi sono i responsabili del colossale abbaglio?
«Il nostro governo, ma anche la maggior parte della sinistra. Anche nel centrodestra ci sono persone che comprendono, ma la generalità del ceto politico non parlo di un partito in particolare è sorda al problema e non vuole capire».
La cementificazione della Liguria e il sacco delle coste, liguri e italiane,furono avviate negli anni Sessanta. Rapallizzare è diventato un termine in uso nel mondo.
«Un po’ di questo fenomeno credo sia da attribuire all’improvvisa ondata di benessere che ha investito l’Italia negli anni del boom. C’è stata incapacità di destinare gli investimenti a scopi maggiormente produttivi. Basta confrontare le cifre della crescita edilizia da un lato e della decrescita degli investimenti industriali e in ricerca.Se ne ricava il ritratto di un Paese ripiegato su se stesso. Come se l’Italia ragionasse in questi termini: l’unica ricchezza che si possiede è il suolo e quindi distruggiamolo. Non sappiamo fare altro. Per molto tempo gli italiani hanno saputo fare molto d’altro».
Non è il frutto malato della società di massa? Nel XIX secolo i turisti inglesi nel ponente ligure erano rispettosissimi del territorio, no?
«D’accordo, però si tratta di fenomeni mondiali ai quali si reagisce.La Germania ha approvato una legge che fissa un limite al consumo del suolo ».
Da governatore della Sardegna, Renato Soru aveva provato a contenere la proliferazione edilizia sull’isola.Gli elettori lo hanno rimandato a casa...
«Veramente a casa ce l’hanno mandato i politici, lo ha fregato il suo stesso partito. La verità è che nell’uso del territorio come merce di scambio elettorale la sinistra non è stata da meno della destra

Stampa online:
04/09/2010 Dal Festival della mente/Paesaggio, costituzione, cemento

mercoledì 1 settembre 2010

Ciclone Marson

Fonte: L'Espresso, 27/8/2010

Di: Mario Lancisi

"Troppo cemento". La neo assessora all'urbanistica della Toscana bacchetta i sindaci Pd. Che si ribellano. Ma il governatore Rossi la difende. E Settis plaude

L'ultimo scontro con i sindaci Pd della Toscana rossa è stato sui porti turistici. Troppo cemento, "troppe cittadelle in riva al mare", ha tuonato Anna Marson, 53 anni, neo assessore all'urbanistica della Regione Toscana, ai primi di agosto. Trevigiana, docente di pianificazione del territorio a Venezia ed ex assessore all'urbanistica della provincia veneta alla fine degli anni Novanta (esperienza sulla quale ha scritto il libro "Barba Zuchon Town. Una urbanista alle prese col nordest", edito da Franco Angeli), la Marson è l'assessore più discusso della nuova giunta toscana del governatore Enrico Rossi. Più discusso dal Pd.

Motivo? In quattro mesi, da quando è stata nominata assessore, la Marson, sposata con Alberto Magnaghi, anche lui urbanista fiorentino, uno di maggiori esponenti dei comitati contro i cosidetti ecomostri toscani, nati sull'onda delle denunce di Alberto Asor Rosa sul caso edilizio di Monticchiello, ha rivoltato come un calzino la politica del suo predecessore Riccardo Conti. Nel mirino sindaci e comuni rossi: "L'errore più grande commesso in questi anni? La troppa autonomia concessa ai comuni", è stato il suo esordio bellicoso.

Gli strappi della docente veneta, che dal 2000, da quando si è sposata con Magnaghi abita in un piccolo borgo di Montespertoli, a due passi da Firenze, sono stati numerosi. Dal no a nuovi insediamenti edilizi a quello della seconda pista dell'aeroporto di Firenze, voluta dal sindaco Matteo Renzi e dagli industriali locali. Dalle critiche agli insediamenti in Val di Cornia, da San Vincenzo a Piombino, al disco rosso al progetto dei Della Valle di una Cittadella viola di 84 ettari con nuovo stadio, alberghi e centri commerciali. Per arrivare ai porti turistici, l'ultimo scontro. "Basta con i porti per yacht che sono vere e proprie cittadelle con alberghi, ristoranti e centri commerciali. Vogliamo più approdi, ma con meno cemento e costi più bassi", ha spiegato la Marson in un'intervista al "Tirreno".

"Non siamo sindaci palazzinari", è stata la risposta irata di molti primi cittadini toscani. E Matteo Tortolini, responsabile Pd toscano per l'urbanistica, ha "scomunicato" il neo assessore indicato in quota Idv: "Basta con gli annunci della Marson, la lunghezza dei porti non la indica la politica".

Ma Rossi difende a spada tratta la Marson: "È una donna molto intelligente e preparata. Sul metodo si può discutere, ma nel merito sta portando avanti il programma della giunta nel segno della discontinuità con le precedenti amministrazioni".

E pensare che quando, nell'aprile scorso, Pancho Pardi, fiorentino, professore di Urbanistica e senatore dell'Idv, gli propose a sorpresa la candidatura della Marson, Rossi esclamò: "Ma chi è?". Nel giro di dieci minuti Pardi gli recapitò un lungo, inequivocabile curriculum della candidata. Giudizi favorevoli arrivarono anche da Davide Zoggia, dirigente del Pd toscano. Qualcuno, è vero, gli ricordò anche un articolo della Marson molto critico nei confronti della gestione urbanistica della Regione, ma il governatore tirò avanti per la sua strada. E oggi persino Salvatore Settis, rettore della Normale di Pisa e severo censore dello sviluppo paesaggistico e urbanistico toscano, riconosce che il nuovo corso impresso dalla Marson rappresenta "la più bella notizia degli ultimi dieci anni".

domenica 29 agosto 2010

Pane e vestiti fatti in casa: ecco gli apostoli verdi

Fonte: La Repubblica, 29/8/2010

dal nostro inviato MICHELE SMARGIASSI

Il movimento del risparmio ecologico "Così consumiamo la metà senza troppi sacrifici". La rete di mille famiglie cattoliche ed "equo-solidali": bollette tagliate ma identico stile di vita .

MARGHERA - Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Anzi no, dacci solo la farina (biologica), che il pane ce lo facciamo da soli, in casa. Quello di Marta ed Ezio, insegnanti, una figlia di 5 anni, è caldo e croccante, ma soprattutto è "giusto". È un pane ecologico e morale, un pane "liberato". "Sei anni fa, sposandoci, scegliemmo di non essere di peso né all'ambiente né al Sud del mondo". Acqua di rubinetto, pannelli solari, scambio di vestiti, niente tivù, al lavoro in bici, e alla fine del mese si fanno i conti. Con la calcolatrice. Marta ed Ezio sono cattolici praticanti, ma il loro non è un fioretto, è un impegno, e gli impegni si calcolano. "Quest'anno abbiamo sforato sulle vacanze. Risparmieremo sull'elettricità".

Marta ed Ezio sono una famiglia "bilancista", una tra oltre mille organizzate in 42 gruppi locali dal Trentino alla Sicilia. Apostoli del sostenibile, predicatori dell'eco-solidale, difensori del Creato, sono un movimento cattolico se non altro perché lo fondò e lo coordina ancora un sacerdote, don Gianni Fazzini, che però se gli proponi l'etichetta di "ecologismo cristiano" te la corregge: "Siamo un movimento di liberazione". Da cosa? "Dallo stato di schiavitù del consumatore, in teoria padrone del mercato, in realtà succube di un immaginario del benessere che lo sfrutta per il profitto di pochi".

Una Greenpeace col segno di Croce? "Cristo ci invita ad essere liberi, noi scegliamo come. Una mano ce la dà anche quel signore lì". Gandhi: è pieno di poster del Mahatma l'ufficetto alla periferia di Marghera dove don Gianni, classe 1937, ex prete operaio, parroco di San Eliodoro ad Altino, tiene i legami col suo movimento "leggero" (niente statuto né veste giuridica) che senza clamore esiste e resiste da diciassette anni. Una rete di famiglie solidali che però ora ha pensato di alzare un po' la voce. L'assemblea nazionale dei "Bilanci di giustizia" si concluderà stasera a Massa Marittima calcando sulla parola Politica, con la maiuscola.

"All'ultima assemblea alcuni amici ci misero un po' in crisi: voi fate belle cose ma siete "poco politici", non basta il pane in casa, dovete fare i conti col potere". Hanno ragione? "Me lo sono chiesto. Poi ho pensato, la Giovanna a Messina ha messo su una cooperativa di installazione del solare termico, Giorgio a Bologna distribuisce la pasta madre per il pane, l'Antonella in Trentino promuove le piste ciclabili, Andrea a Torino ha inventato i distretti dell'economia solidale... E allora un po' di politica forse la facciamo già".

Del resto tutto cominciò nel '93 a Verona con uno slogan quasi sovversivo: L'economia uccide, bisogna cambiare. Era un convegno mondialista di "Beati i costruttori di pace", e un centinaio di famiglie decisero di cominciare a cambiare in casa propria. Cambiare cosa? "Chiesi aiuto a un economista, mi suggerì: "Se un'azienda vuole cambiare gestione, parte dal bilancio". Geniale. Infatti partimmo dal bilancio di casa". Funziona ancora così: ogni famiglia "bilancista" si impegna a compilare ogni mese e inviare alla sede centrale un rendiconto minuzioso della propria economia domestica, una partita doppia "etica": su una colonna le spese effettive divise per capitoli, su quella a fianco le spese "spostabili secondo giustizia".

Ogni mese ci si dà un obiettivo. Mollo l'acqua minerale e bevo l'acqua "San Rubinetto". Abbasso il termostato. Regalo e ricevo i vestiti dei bimbi. Lavo a mano. Compro frutta e verdura solo di stagione. Autoproduco in casa quel che posso. Riparo la bici (e la uso). Ogni famiglia "bilancista" riceve poi una carta sconti, L'Altracard, risposta polemica alla social card di Tremonti. "Non la puoi usare nei negozi ma vale di più": dà accesso a un sito dove un programmino ti calcola quanto stai risparmiando con i comportamenti "sostenibili". Anche centinaia di euro al mese.

Con l'aiuto del tedesco Wuppertal Institute, i "Bilanci di giustizia" hanno cominciato a misurare i propri successi. I risultati sono sorprendenti. Rispetto alla famiglia italiana media Istat, le famiglia "bilanciste" consumano il 16% in meno, con significativi trasferimenti di poste: meno 49% nell'abbigliamento, addirittura -56% in cosmetici e detersivi, più 72% in divertimenti e cultura. I consumi energetici sono la metà di quelli medi (107 litri d'acqua al giorno contro 192, e 599 Kwh annui contro 1202). Dal punto di vista etico, la famiglia "bilancista" sposta ogni anno quasi il 20% delle proprie risorse su prodotti meno "ingiusti". Tutto senza sacrificare il proprio stile di vita: l'indice di soddisfazione si colloca sul 5 in una scala di 7.

Ma la scelta del bilancista non è utilitaria: comprare prodotti biologico o equo-solidali in realtà costa di più, anche se "proprio per questo ne sprechi meno", non molla Marta, "ma il vero guadagno non è monetario". Per scambiare vestiti devi avere molti amici e frequentarli: devi costruire relazioni. Dario e Antonella hanno scoperto che invitandosi a cena una volta alla settimana si risparmia e ci si diverte.

Quando Enrico e Serenella hanno dovuto cambiare auto hanno lanciato un appello email a tutta la rete, "Ci aiutate a trovare la più "sostenibile"?", e s'è riunita un'assemblea (con grigliata finale). La differenza tra i bilancisti e un'associazione di consumatori è tutta qui: "Non lo facciamo per risparmiare, ma per nostalgia di giustizia", dice don Gianni. E allora, da oggi questa cosa è giusto chiamarla Politica: "Le nostre famiglie vivono in città in preda alla corruzione, alla non-cura del bene comune. Noi in questo sfacelo vogliamo camminare puliti". Lo vede, don Gianni, che alla fine torniamo al punto: inquinare, sprecare sono peccati. "No! Sono schiavitù. Di questo sistema siamo le vittime, non i colpevoli. Quindi dobbiamo liberarci, non pentirci".

lunedì 23 agosto 2010

Senza benzina per due giorni "Ragazzi, consumate meno"

fonte: la Repubblica, 21/8/2010

di Angelo Aquaro

NEW YORK - I ragazzi di Mtv sorridono coperti di petrolio. C'è poco da scherzare ma nell'America che si rifiuta di seguire il suo presidente nella svolta dell'energia pulita il futuro si costruisce anche partendo da qui: dal set di un reality show televisivo. I ragazzi di "The Buried Life" sono i volti più noti dell'ultima battaglia intrapresa da un'associazione non profit che denuncia l'impasse della politica già nel nome: Do Something, fa' qualcosa. Per esempio provare a vivere un intero weekend senza petrolio. Possibile?

Nel Paese che insieme alla Cina inquina di più al mondo l'impresa sembra difficile almeno quanto uscire dalla recessione. La nuova legge sull'ambiente che la Camera approvò l'anno scorso giace placidamente al Senato affossata dalla debolezza politica dei democratici alla vigilia delle elezioni di novembre. Malgrado la vergogna della piattaforma esplosa della Bp - 11 morti, 100 milioni di barili in mare - gli stati del Golfo chiedono al presidente la fine della moratoria sulle trivellazioni che ha già fatto perdere almeno 23mila posti di lavoro negli States piegati dalla disoccupazione.


Ma gli organizzatori di "Weekend without oil" non si arrendono e inseguono un obiettivo piccolo ma significativo: almeno 166mila adesioni. Perché proprio 166mila? Ogni anno gli Stati Uniti consumano 300 miliardi di galloni di petrolio. Vuol dire 3 galloni (ogni gallone è pari a tre litri e 780) a testa. Non consumare petrolio per due giorni significa non consumare sei galloni a testa. E 6 galloni moltiplicati per 166 mila fanno la cifra tonda di un milione.

La campagna è destinata ai ragazzi ma è aperta a tutti. Basta sintonizzarsi sul sito weekendwithoutoil. org e cliccare sul modulo di adesione rilanciato poi su Twitter e Facebook. Ovviamente c'è un decalogo - in dieci punti, più la promessa di convincere tre amici - da rispettare: dall'impegno a non usare mezzi di trasporto a benzina fino a quello di non comprare cd e dvd perché la plastica delle confezioni arriva sempre dal petrolio.


Il 40 per cento del consumo di petrolio negli Usa si deve proprio al trasporto e il 10 per cento viene consumato per realizzare prodotti di plastica: un milione e mezzo di tonnellate di plastica sono utilizzate solo per confezionare l'acqua in bottiglia (che spesso non è neppure minerale ma - come capita a quella distribuita dalla Pepsi - solo depurata). L'appello invita a evitare per due giorni perfino i trucchi: anche la maggioranza dei cosmetici che dovrebbero farci belli viene dall'oro nero che distrugge l'ambiente.

Il weekend senza petrolio più che a una campagna assomiglia insomma a un gioco di sensibilizzazione: non è un caso che nessuna grande associazione ecologista sponsorizzi l'evento. Mtv non è Greenpeace e Do Something è certamente un'associazione mossa dalle migliori intenzioni: ogni anno però i suoi Awards che premiano "i teenagers che riconoscono la necessità di fare qualcosa" (dalla campagna anti-sms in auto a quella per riciclare i jeans usati) vengono organizzati con i lussi da Oscar.

Certo, tutto fa gioco quando in gioco c'è una grande causa. Chi l'avrebbe mai detto, per esempio, che proprio una boy band come i Backstreet Boys, protagonisti dell'ultima festa di Do Something, avrebbe risposto all'appello dei durissimi rocker Korn, che stanno sensibilizzando i colleghi artisti al motto di "boicotta la Bp"? Il sabato e la domenica senza petrolio non salveranno l'America che affonda nel mare nero: però, tra un video e l'altro, qualcuno si accorgerà che un altro mondo è possibile. Almeno per un weekend.

LE DIECI REGOLE DA RISPETTARE NEL WEEKEND SENZA PETROLIO


1. camminare o andare in bicicletta (evitare di usare le auto o, se è necessario, organizzarsi in gruppi per gli spostamenti

2. Evitare di acquistare nuove attrezzature sportive (Palloni da calcio possono durare molti anni; un quarto sono realizzati con materiale plastico)

3. Seguire una dieta consapevole (è possibile ridurre i consumi energetici cambiando la dieta: meno carne, più prodotti locali e alimenti biologici)

4. Usare borse riutilizzabili (evitare i sacchetti di plastica usa e getta)

5. Non comprare nuovi make-up ( la maggior parte dei cosmetici sono a base di petrolio)

6. Bere l’acqua del rubinetto (evitare le bevande in bottiglia di plastica; tenere una borraccia da riempire quando si svuota)

7. Evitare di acquistare nuova tecnologia ( per produrre l’elettronica serve molto petrolio; non è necessario avere l’ultimo ritrovato della tecnologia)

8. Andare al cinema o vedere i film in streaming (evitare l’acquisto di nuovi DVD: il petrolio è un materiale chiave nella loro produzione, imballaggio e spedizione

9. Non comprare nuovi vestiti (scambiarsi gli abiti con gli amici o visitare i negozi di abbigliamento vintage)

10. Andare in biblioteca o leggere online (evitare di acquistare prodotti di carta- per la lavorazione si usa petrolio- e di utilizzare la stampante

Se i pastori diventano un bene da tutelare- La sapienza va premiata in tavola

fonte: La Repubblica, 18/8/2010

di Carlo Petrini

COSA ce ne facciamo dei pastori sardi se su quella stessa isola importano latte ovino dall' estero, con il quale si produce, per l' appunto, formaggio sardo mentre il latte sardo risulta sottopagato dalle industrie di trasformazione? È questa l' idea che abbiamo di un mestiere straordinario, di uno dei pochi rimasti a dialogare direttamente con la natura: i pastori come inutili testardi che per una scelta di retroguardia si trastullano in occupazioni ormai perfettamente sostituibili. Certo, finché sull' etichetta ci potrà essere scritto, semplicemente "latte, caglio, sale", nulla potrà far capire al consumatore che quel formaggio è cattivo. Avete letto bene. Cattivo. E non è una valutazione di carattere organolettico. Né di carattere salutistico.È un formaggio cattivo perché si comporta male. Male con il suo territorio, male con le persone che di quel territorio giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, passo dopo passo, si prendono cura. Male con chi - i pastori sardi - ha messo a punto la sapienza che viene spesso frettolosamente accantonata per inseguire forse più facili profitti (offrendo prodotti a bassi prezzi), con chi - ancora i pastori sardi - ha creato la reputazione di un formaggio che oggi viene prodotto bypassandolie utilizzando il loro nome e la loro sapienza, oltre che il prezzo che loro hanno saputo spuntare sul mercato. E intanto il latte delle loro pecore viene pagato una miseria, ma evidentemente con i produttori di altre parti del mondo è ancora più facile fare i prepotenti, e quindi ci si rifornisce dove si riesce a pagare meno, non si sa come maie con quali costi sociali. Gli stagionatori non hanno ancora firmato i contratti con i pastori sardi, cosa che in generale a quest' epoca dell' anno è già avvenuta. I pastori non possono che aspettare (a proposito: mentre si aspetta il formaggio stagiona, e stagionando perde peso) e sperare che si decidano, ma magari quest' anno decideranno di acquistare il formaggio fatto da grandi caseifici che riconoscono poco al pastore perché fanno produzioni di massa. Il refrain è sempre lo stesso: signore e signori, consumatori e consumatrici a cui importa non solo di mangiare prodotti di qualità, ma che avete ben chiaro in mente che il lavoro del pastore è un lavoro di cura del paesaggio, del territorio e della cultura (e non ce lo possiamo ricordare solo quando franano intere montagne abbandonate), cercate i produttori e acquistate direttamente da loro, nella certezza di rendere un servizio al presente e al futuro di questo Paese. E pagateli a prezzi giusti: solo così avrete un prodotto che si comporterà bene. Il prezzo giusto è quello che garantisce un prodotto buono e genuino al consumatore e riconosce le fatiche e il ruolo del produttore. E questo deve valere per tutti i contadini e pastori del mondo. Ritornando al nostro caso. Fidatevi dei pastori: di quegli uomini e di quelle donne che potete andare a cercare, che vi spiegheranno come hanno allevato le loro pecore e vi diranno quali sono le loro difficoltà e le gioie del loro lavoro. Fidatevi di loro, non delle etichette che, specie nel settore caseario, ci dicono solo quel già sappiamo: latte, caglio, sale. In attesa che la nuova politica agricola europea si occupi non solo dei prodotti, ma anche di tutti i servizi che agricoltori e pastori rendono all' ambiente, dobbiamo far da soli. I pastori, se possibile ancora più dimenticati e vessati degli agricoltori, non possono attendere i tempi della Politica agricola comune

Progetto Marinella, stop del ministero

Fonte: L'Avvenire, 21/8/2010

Dal nostro inviato alla Spezia Paolo Viana

La soprintendenza archeologica ligure ferma il nuovo porto: «Zona a rischio, prima i carotaggi»


I l sospetto è che sotto terra, proprio dove dovrebbe sorgere il nuovo porto di Fiumaretta, siano custoditi i resti dell’antico porto di Luni.

Disco rosso, quindi, del Ministero per i beni e le attività culturali al progetto Marinella: con una lettera indirizzata a tutte le istituzioni coinvolte nell’operazione, la Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria ha ribadito, all’indomani dell’approvazione della variante al piano per il Parco di Montemarcello-Magra in Consiglio Regionale, che prima di scavare per costruire il nuovo polo nautico spezzino, si effettuino tutte le indagini necessarie. Una missiva dura, quella firmata dal Soprintendente Filippo Maria Gambari e dal dirigente Lucia Gervasini, che non blocca il progetto ma potrebbe rallentarlo proprio mentre non accennano a placarsi le polemiche politiche.

Nei giorni scorsi, la Lega ha attaccato gli ambientalisti accusandoli di difendere 'il degrado galoppante, il paese spopolato, il deserto invernale' e 'l’erosione della costa' (aggravata da una libecciata a Ferragosto); Legambiente ha ribattuto punto su punto, mettendo alla berlina le divisioni interne al Carroccio ligure. Nel dibattito si sono inserite la Cisl e Confartigianato, entrambe a favore del progetto, che prevede il recupero dei 430 ettari della tenuta Marinella e la costruzione di un nuovo porto sulle due sponde del fiume Magra, nei territori di Ameglia e Sarzana.


Quest’area, secondo la Soprintendenza, è, nella sua totalità, ad 'alto rischio archeologico' perché 'connessa alla presenza di insediamenti antichi'. Ignorato dalla Conferenza dei servizi preliminare, cui fa sapere di non essere stato neppure invitato, il Soprintendente Gambari nella sua lettera rammenta di aver già espresso ben tre pareri sul progetto, nel ’98, nel 2001 e nel 2003, sottolineandone i punti critici. 'Tenuto conto ­scrive - che una fase di indagine strumentale preliminare era già stata avviata in accordo con questa Soprintendenza, si ritiene assolutamente indispensabile completare, nell’ambito della variante al Piano del Parco, il progetto di indagine delle aree interessate e di quelle limitrofe, estendendola poi alle restanti zone previste nel Progetto Unitario Marinella-Fiumaretta'.

Insomma, prima di arrivare non tanto ai lavori quanto a un progetto preliminare dovranno essere effettuati carotaggi, prospezioni e sondaggi archeologici adeguati.

La lettera contiene una chiosa che non sembra casuale: 'le indagini ­sottolinea il soprintendente - dovranno essere condotte sotto la direzione tecnico­scientifica della scrivente Soprintendenza, da ditte dotate dei necessari requisiti di specializzazione e con metodologia scientifica' e queste verifiche dovranno essere approfondite in caso di 'rinvenimenti di particolare interesse ed entità'. Il ministero, insomma, mette le mani avanti, come se fosse certo dell’esistenza di reperti da difendere nell’area che sarà interessata dai lavori di scavo e costruzione, e, ad ogni buon conto, Gambari conclude la sua missiva chiedendo agli enti impegnati nel progetto 'tutta la documentazione' necessaria ad avere 'un panorama completo degli interventi ad oggi eseguiti' e annunciando, sulla base delle indagini e delle valutazioni che le seguiranno, un nuovo parere della Soprintendenza sul progetto preliminare.

domenica 22 agosto 2010

La Spezia, maxi progetti ediizi contro il "bene comune"

fonte: La Repubblica di Genova , 21/8/2010, pag V

Silvano D'Alto
Renato Raggi
Architetti

Tre progetti di maxi-interventi edilizi stanno calando – con procedure di approvazione pubblica in fase avanzata – in luoghi di eccezionale valore ambientale, storico e/o naturalistico – sul territorio di La Spezia -Val di Magra. Sono:

1) la urbanizzazione della Calata Paita, in procinto di liberarsi da ogni ingombro portuale;

2) la Variante di Marinella–Fiumaretta al Piano del Parco Naturale Regionale Montemarcello-Magra (polo nautico);

3) la Variante di Via Muccini e Piazza Terzi, a Sarzana, con forti interventi edilizi ai margini del centro storico;

Si tratta di risorse di valore inestimabile, uniche, non riproducibili. Una corretta pianificazione avrebbe dovuto difenderle e istituirle come “beni comuni”: intesi come luoghi in cui sperimentare un nuovo incontro tra economia e comunità, per esprimere spazi e valori che esaltino il pubblico interesse, la prevalenza dei valori d’uso su quelli di scambio, la ricerca di nuove misure e soluzioni del rapporto pubblico-privato, il senso dell’eguaglianza, come valore fondante della nostra storia urbana. Gli interventi segnalati percorrono invece una direzione diametralmente opposta: ci troviamo di fronte alla dominante affermazione della sfera privata nella assenza di una visione più ampia e costruttiva della sfera pubblica.

Quale il senso della città, ci si chiede come domanda radicale, che ci trasmettono questi tre progetti? I rendering delle proposte rivelano con chiarezza le intenzioni e i fini degli interventi che le parole e i numeri di rito facilmente tradiscono.

Calata Paita . Da un progetto vincitore di concorso, che prefigurava una macrostruttura densa di promesse di contenuti e di linguaggio – “modello” Valencia, si è detto, ma ogni realtà urbana è un mondo originale e irripetibile – si è pervenuti ad un progetto fortemente riduttivo, irriconoscibile rispetto all’originale di concorso: in cui è difficile cogliere un’idea urbana e urbanistica nuova.

Il progetto si configura come previsione di un blocco di macroedifici lineari – disposti perpendicolarmente alla linea di costa – e di due grattacieli prospicienti al mare. Dei grandi spazi pubblici o di uso pubblico non c’è traccia simbolicamente significativa nel progetto quale appare nel rendering della vista d’insieme. Esiste una fondamentale discrasia tra progetto e intenzioni dichiarate. Il linguaggio del progetto è quello della lottizzazione.

Il concetto di bene comune e di città avrebbe richiesto di rovesciare i parametri: esaltare gli spazi per le attrezzature di vita sociale e culturale, collettiva, da immergere in un grande parco pubblico che avesse attrattive a livello europeo. Un’area interpretata come organismo dinamico, variabile, che si aggiorna e si rinnova nel tempo ed esprime pienamente le attese e i sogni della nostra epoca Niente residenze, ovviamente. Si dice di creare occupazione e turismo con tali interventi di pronta realizzazione. Ma l’idea che nasce è di un turismo passivo: ricettivo, non produttivo di una concezione dinamica e creativa.

La nuova edificazione a blocchi pesanti separa, non unisce, la città al mare. Perché, per la sua impostazione ripetitiva, replica l’edificato urbano esistente .
 
La Variante di Marinella al Parco Naturale Regionale di Montemarcello-Magra crea nell’estuario del fiume Magra (non si tratta di area unica e delicatissima?) un enclave di estrema privatizzazione: darsene per 830 posti barca con massiccia edificazione al contorno.
A che serve il Piano di un Parco – cioè la regia della sfera pubblica – se i suoi valori sono mortificati da una Variante che rovescia i valori e massimizza gli interessi e gli affari di operatori privati?

Nella variante, darsene, fiume e campagna sono mondi che si ignorano reciprocamente. Il “Porto con funzione turistica e da diporto” previsto dalle norme del Piano, diviene la servostruttura per l’affare immobiliare.
 
La Variante di via Muccini e Piazza Terzi, a Sarzana, urbanizza con eccessiva volumetria una periferia che chiedeva solo di essere interpretata come una discreta e misurata area di accesso ai valori del centro storico. Il vecchio piano regolatore aveva bisogno di essere rivisitato alla luce delle nuove prospettive culturali relative alla ‘sostenibilità’, al recupero dell’esistente, ma soprattutto ad una idea di città che, nel fragile equilibrio di valori della storia sarzanese, legasse passato presente e futuro. Invece la logica immobiliare ha dominato preoccupazioni e prospettive. La libera e appassionata partecipazione dei cittadini è ignorata e umiliata.

venerdì 20 agosto 2010

Piccoli Uomini, Grandi opere

Fonte: Il fattoquotidiano.it, Ambiente & Veleni
di Marco Boschini 18 agosto 2010



Piccoli uomini ci parlano ogni giorno di grandi opere mentre il Paese cade a pezzi, giorno dopo giorno.

Siamo seduti su una miniera d’oro, il nostro amato territorio, e lo stiamo seppellendo di cemento e idiozia.

Che classe dirigente e’ quella che distrugge il futuro del Paese che amministra? E’ come se il manager di un’azienda quotata in borsa convocasse una conferenza stampa per annunciare il proprio fallimento. Come se il preside di una scuola murasse anno dopo anno tutte le aule e i laboratori del suo istituto…

Abbiamo un territorio meraviglioso, pieno zeppo di monumenti, chiese, piazze, borghi. Un territorio con paesaggi e luoghi mozzafiato, pieni di storia e di futuro, pieni di vita e bellezza.

Dovremmo fare un’unica, vera, grande opera: una colossale operazione di manutenzione straordinaria della nazione, che potremmo far partire domani mattina creando in poche settimane centinaia di migliaia di posti di lavoro.

C’è un intero Paese da rimettere in sesto, case da ristrutturare (anche da un punto di vista energetico), paesi e quartieri da mettere in sicurezza perché tangenti, condoni e speculazioni varie hanno permesso di tutto, alla faccia della legalità e sulla pelle delle popolazioni locali.

C’è un Paese da ricominciare ad amare, e da valorizzare, tramite un turismo responsabile e consapevole, che non deturpi e distrugga, ma conservi e mantenga.

Non ci sono i soldi? Balle, i soldi ci sono, il problema e’ che li buttiamo nel cesso per fare cose inutili e dannose. Chi ha deciso infatti di impegnare quindici miliardi di euro per acquistare 135 cacciabombardieri che useremo per “esportare democrazia” in giro per il mondo? Quante cose si fanno con quindici miliardi di euro…?

Quanti quattrini gettiamo e getteremo per realizzare opere devastanti per l’ambiente e la qualità della vita delle comunità, che si vedranno ancora una volta scavalcate per decisioni prese da un’altra parte?

Ma la politica ha lo sguardo rivolto altrove, ha sempre altro a cui pensare. Di soldi per il turismo ne spende, a volte anche parecchi, ma sarebbero spesi meglio gettandoli dalla finestra: ricordate i milioni di euro bruciati dall’allora vicepresidente del consiglio nonché ministro Rutelli per la realizzazione di un sito Internet che doveva servire per promuovere l’Italia nel mondo? E i più recenti spot con la voce del nostro amato presidente…?

Del resto basta pensare solo per un momento all’attuale ministra al turismo, e il quadro e’ completo…

domenica 15 agosto 2010

Progetto Marinella/Legambiente risponde al consigliere Galli

Fonte: 12/08/2010 19:25:45 Redazione Città della Spezia.it

"Abbiamo letto le dichiarazioni rese da Roberto Galli, Consigliere comunale sarzanese della Lega nord, circa le posizioni degli ambientalisti su Marinella - affermano il presidente di Legambiente Liguria Stefano Sarti e il presidente del Circolo “Valdimagra” Alessandro Poletti - sia in relazione all’omonimo progetto che alla situazione delle spiagge.

Rileviamo nelle dichiarazioni di Galli delle inesattezze circa la nostra posizione che ci sentiamo di dovere correggere".

Ecco le precisazioni di Legambiente.

"In primo luogo - sottolineano i due attivisti - il suddetto sbaglia nel definirci “tout court” contro il progetto, riguardo al quale siamo molto critici, ma soprattutto in relazione alla forte cementificazione che si prevede su Ameglia, mentre nella parte del Comune di Sarzana, che a Lui preme in quanto Consigliere Comunale dello stesso, abbiamo sempre detto di ravvisare criticità molto minori; d’altronde analoghe criticità su tutto il Progetto le ha ravvisate anche il Gruppo Consiliare del Partito di Galli in Regione, cioè la Lega Nord, visto che in occasione del voto della Variante Normativa al Piano di Parco finalizzata al Progetto Marinella del 3 Agosto scorso non ha votato a favore come il Gruppo del PDL, bensì si è astenuto".

"In secondo luogo - proseguono Poletti e Sarti - è inesatto anche dire che gli ambientalisti volessero far invadere la Piana di Marinella dal mare e fossero contrari a progetti di salvaguardia della spiaggia: anzi, già 15 anni fa chiedemmo un intervento di ripascimento con sola sabbia del costo di 60 miliardi di vecchie lire, mentre il Comune di Sarzana preferì, con la benedizione anche dei balneatori, categoria di cui il Galli fa parte, ripiegare sul Progetto Aminti , del valore allora di 3 miliardi di lire, a base di massi ciclopici, i cui pessimi risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti".

"Infine - concludono i due - alcune parole sulla proposta di campo da golf. La Piana di Marinella è un Sito d’interesse comunitario (SIC), il quale tutela specie animali e vegetali a rischio, le quali con lo sconvolgimento provocato da un “green” per il golf sparirebbero, inoltre la falda nella piana di Marinella è affiorante, altro elemento ostativo alla realizzazione di una simile struttura: sia da un punto di vista ecologico che da un punto di vista idrogeologico il golf rappresenterebbe un disastro ambientale".

Progetto Marinella: Lega contro gli ambientalisti: "così bloccate Marinella"

Fonte: La Nazione - (on-line) - 12/08/2010 - pag 10


SARZANA ACCUSE PER LE CRITICHE AL PROGETTO

«NON CAPISCO perchè per qualcuno voglia bloccare a tutti i costi il Progetto Marinella, unica occasione di rilancio della zona». Il capogruppo della Lega Nord Roberto Galli attacca le associazioni ambientaliste da sempre contrarie al progetto di rilancio del territorio. «Per queste persone — dice Galli — Marinella va bene così com’è, con il suo degrado galoppante, il paese spopolato, il ‘deserto’ invernale, le case diroccate, le botteghe ormai quasi tutte chiuse, l’erosione della costa, il traffico estivo asfissiante, le stagioni balneari sempre più corte e concentrate nel week-end. Per non parlare degli allagamenti ad ogni scroscio di pioggia, gli odori nausebondi nelle strade e le sterpaglie sparse ovunque. Tutto questo poteva essere superato in un colpo solo seguendo le indicazioni degli ambientalisti che proponevano di lasciare che il mare avanzasse nella piana fino a Luni abbandonando alle acque il paese ed il litorale». Secondo la Lega è indispensabile modificare la situazione attuale. «Naturalmente alcuni aspetti del progetto Marinella non ci piacciono, come le mucche e la fattoria che sarebbe bene sostituire con un bel campo da golf. E’ anche necessario discutere con le associazioni dei balneari il piano spiagge. Aspetti che possono possono essere considerati nel corso dell’iter progettuale del Progetto Marinella che deve comunque andare avanti velocemente».


Marinella, un G.A.T. contro la Speculazione. I cittadini amegliesi e sarzanesi si riappropriano del loro futuro

Fonte: Repubblica Genova.it, Trenette e Mattoni, di Marco Preve

Il Movimento Stop al Consumo di Territorio della Spezia ha deciso di passare dalla fantasia al concreto. Ci stiamo attivando per avviare la costituzione di un G.A.T. per Marinella, acronimo di Gruppo di Acquisto Terreni.

Siamo consci che la crisi attuale non è di passaggio, pertanto, dopo aver approfondito letture libri di Latouche “La Decrescita Serena” e Ehrenfeld ” L’inizio del crollo dell’era tecnologica” aver partecipato a seminari di “Transition Towns” un movimento culturale, nato dalle intuizioni e dal lavoro di Rob Hopkins, impegnato nel traghettare la nostra società industrializzata dall’attuale modello economico profondamente basato su una vasta disponibilità di petrolio a basso costo e sulla logica di consumo delle risorse a un nuovo modello sostenibile non dipendente dal petrolio e caratterizzato da un alto livello di resilienza. Resilienza non è un termine molto conosciuto, esprime una caratteristica tipica dei sistemi naturali. La resilienza è la capacità di un certo sistema, di una certa specie, di una certa organizzazione di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, che provengono dall’esterno senza degenerare, una sorta di flessibilità rispetto alle sollecitazioni. I progetti di Transizione mirano invece a creare comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali).E lo fa con proposte e progetti incredibilmente pratici, fattivi e basati sul buon senso. Prevedono processi governati dal basso e la costruzione di una rete sociale e solidale molto forte tra gli abitanti delle comunità.

Siamo consci che stiamo per fare ciò che non è mai stato tentato prima in Italia, fermare la speculazione, una proposta di acquisto per rilevare la Tenuta Poggio Bonelli S.p.A. tramite una società costituita da cittadini che vogliono far fruttare, temine non fu più azzeccato, il proprio denaro che è troppo importante per lasciarlo alle banche.

Riteniamo che la nostra Comunità sia pronta e che il futuro sia nella terra e nei suoi prodotti, vogliamo tutelare il futuro nostro e dei nostri figli, perché la terra e nostra e noi apparteniamo ad essa.

Tiziano Pucci , Movimento Stop al Consumo di Territorio della Spezia



Dalla Stampa:

I Gruppi di Acquisto Terreni

sopravviveranno alla crisi

http://www.youtube.com/watch?v=TO-gsuE3-…

L’avvocato Rosanna Montecchi, di Mantova, si definisce “un avvocato di banca pentito”. Specializzata nell’assistenza legale agli istituti bancari ha deciso di passare dalla parte dei risparmiatori, spesso le uniche vere vittime delle crisi della finanza. Studiando teorie economiche che alcuni definiscono “fantasiose”, come quelle tratte dai libri di Latouche “La Decrescita Serena” e Ehrenfeld ” L’inizio del crollo dell’era tecnologica”, Rosanna matura una idea per un grande affare: investire in un fondo. Ma non in un fondo comune di investimento, di quelli a tasso fisso o variabile, bensì in un fondo agricolo da coltivare.

Così nasce il primo G.A.T. (Gruppo di Acquisto Terreni). L’operazione ha successo. Nel breve volgere in meno di un anno si ritrova con 53 soci. “Non ho fatto in tempo a costituirlo”, dice con orgoglio, “che già sono arrivate altrettante richieste e mi sto attivando per trovare un altro fondo agricolo da acquistare per farlo coltivare”.

“Vede”, spiega Rosanna, “il futuro è sicuramente nella terra e nei suoi prodotti derivati. Solo qui nel mantovano ogni giorno vengono erosi dal cemento quasi 17mila metri quadrati di terreno agricolo. Non oso pensare quanti in Lombardia e nel resto dell’Italia. Non vorrei che in futuro i nostri figli fossero costretti a coltivare i giardini della Farnesina o del Quirinale per sfamare le loro famiglie!”

Rosanna Montecchi è convinta che il sistema finanziario attuale sia all’inizio della fine, perché i governi attuano solo politiche finanziarie senza considerare l’economia reale sottostante.

Quando tutto collasserà l’unica salvezza sarà iniziare a creare le “strutture ombra”: organizzazioni di persone capaci di sostituire le funzioni essenziali che si perderanno. Sarà necessario occuparsi dell’approvvigionamento di cibo e acqua pulita, di prodotti e di tutto ciò di cui le comunità pienamente funzionanti hanno bisogno”. “Il mio G.A.T., conclude Rosanna, “è l’inizio di questo percorso. I soldi sono troppo importanti per lasciarli alle banche”.

Un gruppo di cittadini scrive: " Dobbiamo fare alcune considerazioni sul progetto Marinella "

Fonte; Citta della Spezia.it, 8/8/2010

Pubblichiamo una lettera a nome di un gruppo di cittadini inerente al Progetto Marinella che in questi giorni tiene acceso il dibattito politico in tutta la Val di magra




"Il piano di Marinella è iniziato circa 13 anni fa. Il piano è nato con la volontà di valorizzare l'ampio compendio immobiliare della MPS. La domanda che ci poniamo è: il progetto di allora è tutt'oggi ancora valido? Oggi notiamo che sono realmente cambiati numerosi fattori strategici: la maggior conoscenza della reale fragilità del sistema ambientale, le modalità della fruizione del tempo libero, la necessità di contrastare il consumo del suolo a favore di una sostenibilità non solo patrimonio degli "ambientalisti", la tipologia di turismo "straniero" e le modalità di fruizione del territorio, la scoperta e la valorizzazione sul territorio di plus unici (il fiume, l’archeologia, l’ enogastronomia, il parco, il peso culturale dei centri storici collinari, la riscoperta del patrimonio immobiliare rurale, ...) che rappresentano un valore spendibile ma soprattutto produttivo nel tempo se opportunamente protetto e valorizzato, l'aumento della sensibilità in materia di risparmio energetico e vivibilità, ... Il ritardo accumulato in questi anni non è certamente dovuto ad un approfondimento degli studi, tutt'altro; al contrario è stato seguito un lungo approccio più attento a conquistare i cosiddetti stakeholder - i soggetti "portatori di interessi" - e la politica locale. Ma quale politica? Da un lato troviamo una parte consistente degli amministratori locali che trovano una “equilibrata” giustificazione politica - e morale - nell'accettazione del progetto in cambio di un vantaggio economico per le finanze locali. Dall'altra una politica che cerca di acquisire gratificazioni personali e onori mutuando il progetto in quanto “capace di valorizzare il territorio, portare lavoro, migliorare le condizioni idrogeologiche e i sistemi di salvaguardia del fiume Magra, …” e quindi pone la questione in modo improprio: lavoro in cambio di mano libera sul territorio . Purtroppo ciò è vero quando i progetti vengono tenuti segreti, quando si generano alleanze politiche inaspettate e quindi sospette, quando si indicono dibattiti e parlano solo i relatori e non si ammettono interventi, quando si minaccia e si oltraggia chi è portatore di interessi collettivi, quando in modo palese si mistifica la realtà pur ricoprendo una carica pubblica, quando non si ha capacità di ascolto, quando si millantano studi che è legittimo temere che non siano mai stati realizzati, quando si mette a rischio l’acqua per una popolazione di circa 200.000 abitanti. In questi ultimi anni il progetto ha subito anche ulteriori “raffinazioni” più strategiche che culturali, per rendere l’iniziativa immobiliare più redditizia e quindi economicamente vantaggiosa. È indubbio che si debba porre mano alla sistemazione dell’area, ma è possibile adeguare il progetto al mutato scenario globale nei settori commerciali, ambientali, turistici..e non ultimi immobiliari. Ribadiamo, in questi anni - e ancor più oggi – l’alta redditività è il motore che muove il progetto non certo il consolidamento della risorsa ambientale, la tutela idrogeologica, la sostenibilità, la costruzione di una differente modello di economia locale legata al turismo. È opportuno riconoscere che il progetto offre spunti interessanti e positivi in alcuni settori, ma è pur vero che è carente e pericolosamente incardinato su soluzioni ad alto rischio. La previsione di una darsena per 800 posti barca a poche centinaia di metri dal mare, realizzata sottraendo terreno, permetterà alle acque saline di incunearsi nella piana. In tal modo si innescherà un fenomeno dannoso che potrebbe avere l’apice di pericolosità nel periodo estivo, consentendo al battente salino di rientrare verso monte andando ad inquinare quei letti di ghiaia che contengono l’acqua di falda.Ciò vuol contaminare e senza ritorno i pozzi di Sarzana e di Fornola. Può la società Marinella spa garantire questo scenario? non servirebbe neanche offrire una garanzia fidejussoria; l’acqua un bene e un valore primario. Stiamo parlando di un tema caro all’IDV, al partito dell’assessore regionale all’urbanistica, che ha dimostrato - in un recente incontro alla festa del PD di Fiumaretta - di non conoscere, affermando che gli studi eseguiti dalla Marinella spa sono sufficienti a garantire il rischio del cuneo salino. Peccato che gli studi la Marinella spa non li abbia ancora eseguiti; studi necessari che verranno prodotti solo ora che la variante di parco, in un caldo giorno d’agosto in regione, è stata adottata in modo bipartisan, da PD e PDL.

Consigliamo alla signora Fusco di aggiornare le proprie conoscenze e soprattutto di scegliere la politica urbanistica da seguire: quella ambientalista (vedi i garages di Paraggi) o quella predatoria ambientale (ampliamento del piano casa Berlusconi, progetto Marinella, …). Noi non abbiamo dubbi, non siamo per congelare il territorio, siamo per tutelare e promuovere quegli interventi che offrano reali garanzie per l’ambiente, per il lavoro e per il futuro della nostra vallata.



Un gruppo di iscritti e simpatizzanti del'IdV della Val di Vara e Val di Magra"

Progetto Marinella, Vallata divisa

Fonte : La Nazione - (on-line) - 07/08/2010 - pag 14


I politici e gli imprenditori sono favorevoli, gli ambientalisti contrari



Confartigianato chiede alla proprietà di confrontarsi con le aziende già presenti sul territorio per evitare nuove incomprensioni



Legambiente e il movimento Stop al consumo del territorio ironizzano su chi a Roma è contro gli inciuci e a Genova, al contrario, non li vede



NON SI PLACA l’eco del voto in Regione sul progetto Marinella. Tra i felici c’è Massimo Baudone, assessore a Sarzana, che però avverte: «Ha ragione Baruzzo quando dice che ancora molto c’è da fare prima di poter vedere partire i cantieri. Io nella primavera 2007 ho avuto l’onore di coordinare i lavori in qualità di presidente della commissione territorio per l’iter di approvazione in consiglio comunale. Sono tra coloro che non si spaventano di fronte a procedure tipo Vas o Via , in quanto sono convinto della bontà e dei criteri ambientali su cui il progetto si basa.. Importante sarà attivare quei criteri partecipativi senza paura, perché un progetto di questo valore non può non passare attraverso le legittime valutazioni dei cittadini». Anche Confartigianato valuta positivamente il sì alla Variante al Piano del parco votata dal consiglio regionale. «Il valore del Progetto Marinella – spiegano il presidente zonale di Confartigianato Massimiliano Dentelli e il direttore provinciale Giuseppe Menchelli — è indiscutibile. Auspichiamo che non ci siano più intoppi, dato che del progetto se ne parla dal 1999. È evidente che vadano evitati scempi e tutelate le caratteristiche paesaggistiche valutando i problemi ambientali e la funzionalità del progetto». Confartigianato auspica che nella progettazione avanzata ci siano incontri con le associazioni per chiarire aspetti specifici. «La realizzazione nel piano con servizi, aree residenziali, commerciali, attività nautiche e ricettive — concludono Dentelli e Menchelli — dovrà coinvolgere gli imprenditori che operano nel territorio per integrare le potenzialità ed evitare incomprensioni». Contento anche Gino Alfieri, il presidente della Consulta di Marinella: «Ora si discuterà di cose reali. Siamo certi che l’impegno messo in campo dalla Consulta nelle trattative con la proprietà non sarà disatteso e si punterà alla salvaguardia del territorio e al mantenimento della residenza di quanti hanno fatto la storia di Marinella». Di parere ben diverso il presidente di Legambiente Liguria Stefano Sarti e il portavoce del Movimento Stop al Consumo di Territorio Roberto Mazza. «Le dichiarazioni dell’amministratore delegato di Marinella spa sono molto gravi: il tacciare di terrorismo il mondo ambientalista non può essere accettato e il Reverberi non risponde nemmeno alle criticità da noi sollevate sul progetto Marinella. Egli non da risposte né sui rischi sul cuneo salino né sull’incidenza della darsena sul rischio idraulico; non parla del fatto che il progetto insiste su due siti d’interesse Comunitario, il Sic del Parco Fluviale e il Sic della Piana del Magra e di come possa essere sostenibile sugli stessi. Non dà nemmeno spiegazioni sugli sviluppi futuri della fattoria, dato che i progetti presentati sono sempre risultati contraddittori rispetto alla riqualificazione agricola; vedi l’intenzione di spostare le stalle: non ci pare un elemento di conservazione del borgo agricolo. L’esito del Consiglio Regionale ci induce a moltiplicare l’impegno e a segnalare il pericolo di un trionfo della politica come business rispetto alla politica come confronto di idee e programmi. La tutela della bellezza e della integrità del nostro territorio che non ha davvero bisogno di valorizzazioni cementizie è un obbiettivo non negoziabile per il quale ci batteremo in tutte le sedi e con tutti gli strumenti che la legge offre. Spiace notare che chi si batte il petto contro gli affari e gli inciuci a Roma sia assai meno vigile a Genova».

sabato 7 agosto 2010

Dalla Regione Liguria "si" al Porto nel Parco

Fonte: L'Avvenire del 06/08/2010

Così cambierà la vecchia "Fattoria"

Fonte: Il Secolo XIX 04/08/2010

OK al progetto Marinella

Fonte: Il Secolo XIX del 04/08/2010

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"Il via ai lavori entro il 2010 o sarà troppo tardi"

Fonte: La Nazione 04/08/2010

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I Contrari - Legambiente annuncia ricorso "Deciderà il Tar" IDV fa autocritica: "Poca fermezza"

Fonte: La Nazione del 04/08/2010

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Variante del Parco, arriva il SI - Il Progetto Marinella può ripartire

Fonte: La Nazione del 04/08/2010

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